Quello di vuoto, di vacuità, è un concetto centrale per la dottrina buddhista: il vuoto non è solo l’istante che precede la nascita di tutte le cose, ma è anche il vuoto finale, la liberazione di tutti gli esseri senzienti a un livello cosmico. All’opposto di quanto accade nelle tradizioni culturali e filosofiche europee, dove il termine “vuoto” porta con sé una connotazione negativa che la avvicina a idee nichiliste e alla mancanza o privazione, per il buddhismo la vacuità ha una connotazione positiva legata in ultima istanza al raggiungimento della consapevolezza, ovvero alla comprensione che la vita, con i suoi continui mutamenti, è impermanenza e interdipendenza, poiché tutto esiste solo in relazione all’altro. Capire questo e quindi liberarsi dalla s

offerenza della vita si risolve in una dimensione di pace assoluta (nirvana): è qui che si rivela l’essenza del Buddha, che non è divinità, ma appunto Vuoto.
L’esposizione “Il grande vuoto. Dal suono all’immagine”, allestita sino al 4 settembre al MAO di Torino, è dedicata proprio a questi concetti: la mostra vuole offrire al pubblico un’esperienza multisensoriale particolarmente coinvolgente ed è anche un segno forte di speranza per un futuro che si rivela incerto e sconfortante.
La mostra si apre con un grande spazio vuoto. Non si tratta però di un vuoto vero e proprio, ma di uno spazio che si satura gradualmente con la presenza delle note del giovane e pluripremiato compositore romano Vittorio Montalti, che per l’occasione ha composto il brano “Il Grande Vuoto”, in cui silenzi, ritmi, sonorità e l’eco dello spazio stesso diventano matrice e metafora della costruzione divina dello spazio rituale: un lavoro sospeso tra composizione e installazione sonora che abita i diversi spazi del Museo.
I visitatori sono invitati dalla musica a compiere un percorso esperienziale e meditativo, per giungere al fulcro della mostra, in Sala Colonne: qui è infatti esposta una rarissima thangka tibetana del XV secolo, la più preziosa delle collezioni del MAO, che ritrae Maitreya, il Buddha del Futuro, raffigurato in splendide vesti e seduto sul trono dei leoni. Con le mani atteggiate nella dharmacakramudra (il gesto della messa in moto della Ruota della Legge), che rivela la sua futura missione di promulgatore della Dottrina, il Buddha regge gli steli di piante e fiori, simboli germinali di una futura liberazione.
In quanto oggetto religioso e rituale, la thangka, con le sue innumerevoli simbologie, è un mezzo che permette a chi la osserva di navigare attraverso le difficili acque della meditazione e di visualizzare i vari attributi della divinità raffigurata (in questo caso Maitreya, il Buddha del futuro) e di entrare in uno stato meditativo profondo, nel quale le immagini, i colori, i gesti, i suoni raffigurati nel dipinto si rivelano in una cosmogonia rituale sublime.
L’antica thangka tibetana si inserisce qui come prima immagine, densa e profonda, che si rivela allo spettatore dopo un percorso sonoro e spaziale importante. L’osservazione di questa immagine sacra dopo un viaggio che “ripulisce” lo sguardo e l’orecchio attraverso le sonorità di Montalti sarà quindi un’esperienza trascendente: immagine sospesa, in un “white noise” sonoro, un fruscio cosmico vibrante, che apre a una moltitudine di forme e colori e gesti.
Questa prima immagine dipinta porta con sé la forza della tradizione tibetana di riprodurre divinità e santi Buddhisti su tela (le thangka) e che, in epoca moderna, sta all'origine del ritratto fotografico dei tulku, a cui è dedicata la parte finale della mostra. Nelle ultime due sale trovano infatti spazio centinaia di fotografie di tulku, parte di una collezione di immagini realizzate dalla fine dell’Ottocento fino ai giorni nostri, che ritraggono i Buddha viventi appartenenti alle scuole buddhiste e bonpo in tutte le aree del mondo dove si pratica il buddhismo tibetano; i tulku sono figure salvifiche la cui "mente di saggezza" rinasce in nuovi corpi per condurre l’umanità verso la salvezza e il Grande Vuoto… verso la buddhità.
In questo senso non si tratta di semplici ritratti fotografici, ma di autentici oggetti di venerazione, che contengono la sacralità della presenza: si ritiene infatti che l’immagine abbia lo stesso potere del tulkustesso o più precisamente che l’immagine e il tulku siano inscindibili.
Questa raccolta, iniziata oltre una decina di anni fa dall’artista Paola Pivi, ha raggiunto migliaia di immagini e costituisce quello che è oggi il più grande archivio di immagini di tulku al mondo (http://tulkus1880to2018.net/).
Vittorio Montalti ha vinto il Leone d’argento alla Biennale di Venezia 2010 e il premio "Una Vita nella Musica" 2016 del Gran Teatro La Fenice. I suoi lavori sono ospitati da enti quali New York Philharmonic, Carnegie Hall, IRCAM-Centre Pompidou, Gran Teatro La Fenice, Maggio Musicale Fiorentino, Teatro dell’Opera di Roma, La Biennale di Venezia, Roma Europa Festival e molti altri. È stato compositore in residenza presso: l’Istituto Italiano di Cultura di Parigi, l’American Academy in Rome - Marcello Lotti Italian Fellowship, la Civitella Ranieri Foundation, il FortissimissimoFirenzeFestival - Amici della Musica di Firenze, il Divertimento Ensemble, la Società dei Concerti di Milano. Particolarmente interessato al teatro musicale, ha scritto quattro opere su libretto di Giuliano Compagno che sono state messe in scena con diverse produzioni. Nel 2021 ha debuttato al Roma Europa Festival con un lavoro per percussioni ed elettronica creato in collaborazione con Blow Up Percussion e Tempo Reale, che lo vede impegnato anche come esecutore dell’elettronica. Insegna Composizione presso il Conservatorio di Musica “Carlo Gesualdo da Venosa” di Potenza. I suoi lavori sono pubblicati dalle Edizioni Suvini Zerboni e dal 2018 da Casa Ricordi.
La mostra Il Grande Vuoto è completata da un ricco programma musicale curato da Davide Quadrio, Chiara Lee & Freddie Murphy. Paesaggi sonori impressionistici, meditazioni acustiche, tradizione e innovazione… Lo spazio sonoro contemporaneo di Yeong Die, Li Yilei, Amosphère, Hatis Noit e KyoShinDo si confronta e riflette sulla transitorietà, la ripetizione come trasformazione, la relazione tra una parte e il relativo tutto, l’intersezione tra assenza e presenza. Declinato in modi sempre diversi, il suono rappresenta di volta in volta un nuovo inizio, la conferma di un’interezza che riempie, un vuoto che accoglie.