Lo studio si sofferma poi sulla discrepanza tra automazione potenziale (il livello di automazione tecnicamente possibile) e automazione effettiva (il livello di automazione che effettivamente viene realizzata). In Italia, infatti, per la presenza diffusa di imprese di piccole e medie dimensioni spesso a controllo familiare, la ridotta capacità di investimento, la bassa adozione di tecnologie avanzate e una serie di altri fattori, l’automazione effettiva potrebbe essere minore di quella attesa.

Al di là di questo, la perdita di posti di lavoro e la marginalizzazione di alcune tipologie professionali restano comunque un pericolo in Italia ed è per questo che la ricerca si conclude con l’indicazione di tre tipi di intervento. Innanzitutto, dovranno essere creati nuovi posti di lavoro con attività non automatizzabili per offrire occupazione a chi è stato rimpiazzato dalla tecnologia e proteggerlo dal rischio di ulteriore sostituzione. La creazione di posti di lavoro dovrà perciò avvenire in settori quali i servizi alla persona, il turismo, la sanità e l’istruzione. «A tal fine, potrà essere necessario sviluppare la finanza per l’innovazione al fine di sostenere le start up più dinamiche e rivedere la tassazione del lavoro e il cuneo fiscale per rendere il lavoro umano conveniente». Il secondo tipo di intervento è legato all’istruzione e alla formazione pre-ingresso e durante l’intera vita lavorativa. «Inoltre, in aggiunta alle competenze tecniche, sembrano rilevanti le capacità creative, l’attitudine al problem solving, le capacità sociali e relazionali. È perciò auspicabile la progettazione di un sistema di formazione che parta dalle relazioni scuola-lavoro e dall’apprendistato per poi fornire un re-skilling, uno skilling-upgrade per gli adulti». Infine, Bannò, Filippi e Trento si concentrano sul veloce aumento dell’automazione delle professioni che si osserva anche in Italia: «La rapidità con quale le nuove tecnologie sembrano distruggere posti di lavoro rende necessaria una riflessione sul sistema di sostegno generalizzato al reddito di chi perde lavoro».