A poco più di 20 anni dalla sua promulgazione, la legge sul voto all’estero (359/01) deve essere riformata. Non dà sufficienti garanzie per la personalità e segretezza del voto ed è diventata insostenibile nella sua applicazione anche sul fronte di lavoro e costi. Potrebbe sintetizzarsi così quanto affermato dal Ministro degli esteri Luigi Di Maio che oggi, accompagnato dal Dg per gli italiani all’estero della Farnesina Luigi Maria Vignali e dal Capo dell’ufficio per i rapporti con il Parlamento Antonio Enrico Bartoli, ha riferito di fronte alla Giunta delle elezioni della Camera nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulle modalità applicative, ai fini della verifica elettorale, della legge 27 dicembre 2001, n. 459, recante “Norme per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero”.


Dall’entrata in vigore della Legge Tremaglia, ha ricordato Di Maio, “abbiamo organizzato 4 elezioni politiche e 8 consultazioni referendarie. In 20 anni il numero dei cittadini italiani residenti all'estero è quasi raddoppiato, passando da circa 3,4 a quasi 6,6 milioni”, ciò sia “per la spinta che viene dalla cosiddetta nuova mobilità”, sia per “l’estrema generosità della nostra legge del 1992 in materia di cittadinanza”, che, ha ricordato, “non prevede limiti di discendenza alla trasmissione iure sanguinis”.
Da ciò deriva che “se nella prima occasione in cui fu impiegato il voto all'estero, cioè il referendum del 2003, gli elettori erano 2,3 milioni, per il prossimo referendum di giugno il corpo elettorale sarà prossimo ai 5 milioni”. Connazionali “che vivono in tutti i continenti”: in occasione del referendum costituzionale del 2020 “sono rientrate a Roma schede elettorali da 196 Paesi del mondo, compreso l'Antartide”.
Una procedura che impegna gli uffici diplomatico-consolari già mesi prima del voto, ha ricordato Di Maio che ha ripercorso fasi e termini che scandiscono la procedura dall’invio dei plichi elettorali a tutti gli iscritti Aire all’arrivo delle schede a Roma per lo spoglio.
Spoglio che, ha precisato, al contrario di quanto affermato in Giunta nelle scorse audizioni, soltanto dalle prossime elezioni politiche nel 2024 e quindi non dal referendum del prossimo giugno sarà suddiviso tra 5 Corti d’Appello: Roma, Milano, Bologna, Firenze e Napoli.
Tante, e note, le criticità: dagli indirizzi non aggiornati alla sicurezza dei sistemi postali fino all’espressione vera e propria del voto, per Di Maio è “opportuno” chiedersi se la 359/01 sia “adeguata”.
“L'incremento continuo del corpo elettorale all'estero”, ha proseguito il Ministro, “mette alla prova la capacità degli uffici consolari” alle prese con una “macchina sempre più impegnativa da gestire” e senza risorse aggiuntive in termini di personale. Per questo, quando ci sono le elezioni, gli altri servizi ne risentono.
“Stoccarda ha un numero di residenti comparabile a Parma (190mila persone), ma al consolato generale sono in servizio solo 30 persone, di cui solo diplomatico”, ha citato a mo’ di esempio Di Maio. Più elettori significa più costi: “sulla base della capienza attuale del fondo per le spese elettorali, alla Farnesina dovrebbero essere assegnati circa 24 milioni e mezzo di euro all'anno; un terzo, in genere, viene assorbito dalla sola Argentina”, ha detto il ministro; per questo “nel corso di un solo anno spesso si rendono necessarie integrazioni: le politiche del 2018 sono costate circa 28 milioni di euro per un bacino di 4,2 milioni di elettori, di cui solo 1,3 milioni furono i votanti effettivi, circa il 30%”. Per il referendum sulla giustizia di giugno “la stima è cresciuta a 31,4 milioni di euro”, sia per l’aumento dei votanti che del costo delle materie prime, senza contare “l’interruzione di molti voli commerciali”.
Ribadito che “la democrazia non ha prezzo”, per Di Maio “il punto è che la modalità stessa del voto per corrispondenza espone il processo elettorale a numerose variabili aleatorie che sfuggono al controllo della Farnesina”. Si tratta di “inefficienze endogene”, che tra l’altro “gettano un’ombra sulla correttezza e sull'operato degli uffici consolari”.
Problematica è la spedizione dei plichi, a causa dei diversi standard di sicurezza ed efficienza dei sistemi postali nei diversi Paesi; di incerta applicazione sono i principi costituzionali di segretezza e personalità del voto perché “il voto per corrispondenza si svolge lontano dal controllo delle autorità”; “numerosi” sono i plichi restituiti per mancata consegna al destinatario, che può aver cambiato indirizzo senza comunicarlo al consolato; “bassa” l’affluenza al voto di una compagine formata da “figli di seconda e terza generazione di immigrati” che non hanno legami con l’Italia.
Di fronte a queste criticità, “è opportuno avviare una riflessione su una possibile riforma della legge sul voto all'estero per renderla più adeguata alle sfide attuali e rispondente alle caratteristiche della nostra collettività all'estero”, ha affermato Di Maio.
Bollate come “impraticabili” sia l’ipotesi del voto nei seggi – per organizzazione e costi, ma anche perché “discriminerebbe” gli elettori che risiedono lontano dai seggi – sia l’affidamento della stampa in Italia delle schede a cura del Viminale – “per tempi allungherebbe i tempi di spedizione e aggraverebbe i costi a carico del bilancio dello Stato” – Di Maio ha affermato che “la soluzione ideale non esiste” sostenendo al tempo stesso che “per tenere insieme la tutela della personalità e unicità del voto, la partecipazione degli elettori e la sostenibilità organizzativa ed economica dell'esercizio si debba lavorare nella più ampia prospettiva della digitalizzazione dei servizi consolari” prevedendo, così come fatto a dicembre per i Comites, l’inversione dell’opzione (se vuoi votare lo devi dire).
In questo modo, riceverebbe il plico solo chi ne ha fatto richiesta e ad un indirizzo aggiornato e per l’amministrazione ci sarebbe un “drastico abbattimento dei costi complessivi”. Del resto è un sistema “adottato anche da altri paesi europei come Francia, Regno Unito, Svizzera e Austria”, ha ricordato.
Quanto al voto elettronico sperimentato per i Comites a dicembre “si tratta di una modalità percorribile, ma dalle implicazioni che andranno attentamente vagliate dal Parlamento”.
Per il ministro, quindi, l’unica soluzione è lasciare il voto per corrispondenza ma con dei correttivi: l’inversione dell’opzione e nuovi metodi a garanzia della tracciabilità del plico, come ad esempio l’introduzione di un QRcode all’interno della busta interna preaffrancata che identifica l’elettore e velocizza le operazioni di scrutinio.
Il voto all'estero “ha rappresentato una importantissima conquista per i concittadini che vivono fuori dal nostro paese e come tale va tutelato, messo in sicurezza, adattato in base al mutare delle circostanze nel tempo”, ha sottolineato il ministro, ribadendo “l'importanza della partecipazione democratica” ma al tempo stesso quella di “proteggere il voto da interferenze esterne”. Serve il “coraggio di perseguire soluzioni e riforme adeguate e al passo con i tempi. Governo e Farnesina in particolare sono ben pronti a lavorare in questa direzione assieme al Parlamento”.
Nell’aprire il dibattito, il presidente della Giunta Giachetti (Iv) ha rilevato come sull’opportunità di invertire l’opzione ci sia “unanimità” tra le parti audite nell’ambito dell’indagine conoscitiva, che proseguirà con i contributi dei Ministeri della Giustizia e dell’Interno.
Fontana (Fi) ha ringraziato ministro e Farnesina per il lavoro che svolgono ed ha convenuto sulla opportunità di mettere mano alla legge almeno con dei correttivi immediatamente applicabili; “troppo, troppo facile l’acquisizione della cittadinanza”, ha aggiunto il deputato auspicando una riforma anche in questo caso.
Per Maggioni (Lega) fondamentale è garantire “segretezza e personalità del voto” di cui per altro la Giunta ha dovuto occuparsi spesso quest’anno; Del Basso De Caro (Pd), invece, è tornato sulla opportunità di modificare circoscrizione estero e sistema elettorale alla luce del taglio dei parlamentari: “spero che ci sia il tempo per poter modificare la legge elettorale quantomeno per il voto degli italiani all'estero”, ha detto, auspicando anche l’eliminazione delle preferenze visto che “siamo in presenza di un maggioritario di fatto” almeno nelle ripartizioni che eleggono un solo parlamentare.
Secondo Melicchio (M5S) “la relazione del ministro ha fatto emergere con chiarezza la necessità di un equilibrio fra il diritto al voto e tutela della segretezza e della personalità del voto” ma “se ci concentriamo troppo su un aspetto rischiamo di negare un diritto”; per questo, il deputato è tornato a promuovere il voto elettronico chiedendo a Di Maio “quanto siano pronte” le sedi consolari e “quali risorse sarebbero necessarie per metterlo in pratica”.
Per Siragusa (Ev) la modalità di voto all’estero dimostra che “deleghiamo la nostra democrazia al caso”: se un connazionale non comunica il cambio di indirizzo, ha detto l’eletta in Europa, uno straniero potrebbe votare al suo posto appropriandosi del plico. C’è da riformare sia “il modo generoso con cui noi riconosciamo la cittadinanza” che la legge sul voto “con l'inversione dell’opzione” anche per “uniformare” le modalità con cui i connazionali esprimono il loro voto (in presenza alle europee, per corrispondenza con o senza opzione alle politiche e per i Comites). Certo, di tempo per farlo ne resta poco, quindi, ha chiesto Siragusa “si potrebbe pensare ad un decreto ad hoc?”. A Di Maio la parlamentare ha chiesto anche di garantire i diritti dei contrattisti della Farnesina, fondamentali per il lavoro nei consolati.
Nella sua replica, il ministro ha osservato che “siamo di fronte ad una legge in funzione da oltre vent'anni e quindi è giusto che il Parlamento si interroghi se sia al passo con i tempi”. Con le nuove tecnologie “possiamo riuscire a garantire tutti i diritti costituzionali del cittadino all'estero”. Quanto al taglio dei parlamentari, “dobbiamo ridisegnare per norma i collegi elettorali; su questo il Ministero degli Esteri è a disposizione, ma la prerogativa è del Parlamento”, ha aggiunto, ricordando che “per i collegi nazionali si è provveduto con un atto di secondo livello del Ministero dell'Interno”.
Quanto alla cittadinanza “ci riempie d'orgoglio avere una comunità all'estero di italodiscendenti così importante, ma ogni sistema deve essere sostenibile ed oggi ci sono alcuni uffici consolari che non riescono a smaltire tutte le richieste” anche perché “ci sono una serie di meccanismi da cui dobbiamo difenderci”.
Se e quando si metterà mano alla legge elettorale nazionale, quello “potrebbe essere il luogo per mettere a punto i correttivi per l’estero”; “ovviamente che auspico che la norma sia parlamentare”, ha sottolineato Di Maio, ribadendo la disponibilità della Farnesina.
Ai quesiti di Siragusa sul voto elettronico e sul personale all'estero, il ministro ha ricordato che il primo, sperimentato con successo per i Comites - pone questioni di sicurezza su cui Parlamento e Agenzia per la Cybersecurity devono pronunciarsi; e per il secondo citando gli effetti di “13-14 anni di spending review” sulla Farnesina, che sta cercando di assumere altro personale ma che deve far fronte ad una “platea che dal 2008 in poi cresce in modo vertiginoso”.
“Io, il Ministero con il Dg Vignali e il direttore Bartoli restiamo totalmente a disposizione: se vogliamo utilizzare questo scorcio di legislatura per far fare dei passi in avanti a questa legge – ha concluso – contate su di me”.