Nella splendida cornice del sontuoso Hotel Baur au Lac di Zurigo, Paolo Sorrentino, ha incontrato i giornalisti nella tarda mattina di ieri. Con un look semplice, quasi casuale, Sorrentino parla a ruota libera del suo film, “Ho realizzato questo film perché era il momento giusto per farlo. Del resto, come diceva Proust: Le passioni abbozzano i libri e la calma li fa scrivere. Vale lo stesso motto per i film. Ero abbastanza tranquillo e calmo per riuscire a scrivere questo film molto intimo e autobiografico”.

La pellicola racconta di Fabio (Filippo Scotti), un adolescente degli anni 80, che vede avverarsi uno dei sogni più grandi, l’arrivo a Napoli di Diego Armando Maradona, ma a questa grande gioia si accompagnerà una tragedia inaspettata, che sconvolgerà la sua vita: la morte dei genitori, avvelenati dal monossido di carbonio di una stufa difettata, morti insieme nel sonno. Nella  condivisione di quest’ultimo aspetto con gli spettatori nel film è una delle scene più toccanti della pellicola, ha spiegato: “erano 35 anni che ne parlavo da solo con me stesso, senza risolvere nulla. Quindi ho pensato che condividere questa mia tragedia mi avrebbe potuto aiutare, ma alla fine non sono sicuro che sia cambiato qualcosa in me”, e chi poi non si ricorda che poche settimane fa ringraziando per il premio della giuria al Film Festival di Venezia gli si è incrinata la voce quando ha ricordato che al funerale il preside della sua scuola ha mandato solo due rappresentanti di classe al funerale, un vuoto che lui ha dichiarato di aver colmato quella sera con il pubblico presente in sala. Una ferita aperta, dolorosa, concessa senza filtri agli spettatori che l’hanno consacrato tra i più grandi registi del nostro tempo. 

“Sicuramente il dolore, la sofferenza, è stato un motore per la creazione e utile per realizzare i film. E, per contrasto, il dolore mi ha anche fatto venire voglia di giocare e io l’ho fatto usando il cinema”. 

La mano di Dio, del titolo, è stata quella con la quale Maradona ha segnato il primo gol nella partita dei Quarti di finale dei Mondiali del 1986 contro l’Inghilterra. “Sia per Napoli, sia personalmente – ha detto Sorrentino – il suo arrivo ha portato una grandissima gioia, la libertà e anche un certo senso di ribellione. Tutti aspetti che un adolescente, come lo ero io negli anni 80, non vede l’ora di ricevere. E ancora oggi per me Maradona resta quello della mia adolescenza, non è cambiato nulla. Rimane una divinità e quindi immutabile”. Sempre su Maradona aggiunge: “ha diverse caratteristiche che si avvicinano a una figura religiosa. Mi ricordo, quando apparse per la prima volta allo stadio, fu una specie di rivelazione. Proprio come un Dio. E nella sua carriera è morto e poi risorto, ed è stato anche un martire per sé stesso, una vittima dei suoi sbagli e per questo si è fatto crocifiggere. Una vera e propria figura religiosa, che è andata oltre il semplice gioco del pallone”. 

Il premio Oscar per La Grande Bellezza ha anche ricordato quando, durante la cerimonia dell’Academy, aveva ringraziato proprio Maradona e i presenti presero quelle parole come uno scherzo: “In molti non l’hanno compreso, ma io ero serio. L’ho ringraziato perché è stato il mio primo contatto con lo spettacolo, in senso lato. Infatti, da ragazzo non frequentavo i cinema e non leggevo libri che a casa non c’erano e lui, in qualche modo, mi ha introdotto al mondo dello spettacolo e dell’arte”. 

Sorrentino poi dovendo presenziare anche al pomeriggio con il pubblico alla proiezione del suo film, si è congedato con una frase che conferma il suo modo schivo e umile di affrontare il suo lavoro :“non mi piace essere chiamato maestro, perché troppe volte l’ho sentito attribuire a gente che detesto. Quindi no, non chiamatemi maestro”. 

Un film che sfiora tutte le emozioni, che fa capire la grande umanità e sensibilità di uomo che da ragazzino ha affrontato una tragedia immensa.