È stato il simbolo del dramma dell’Alluvione del 1966, ma anche del suo riscatto e adesso accompagna il desiderio di rinascita dopo i mesi più bui della pandemia. Da sabato scorso, 4 dicembre, il Cristo di Cimabue di Santa Croce a Firenze, dopo quasi due anni, è di nuovo visibile, con la sua storia di dolore e di speranza, per tutti coloro che visitano il complesso monumentale.
Fino dal marzo 2020 le stringenti norme di sicurezza anti Covid avevano costretto l’Opera di Santa Croce a escludere la sagrestia, dove il Crocifisso è conservato in sicurezza.


“È sempre emozionante trovarsi davanti a quel Cristo che Paolo VI definì “la vittima più illustre dell’alluvione di Firenze”, restituito a Santa Croce e a tutti noi da uno straordinario e innovativo intervento di restauro condotto dall’Opificio delle Pietre Dure. La valenza simbolica di quest’opera”, sottolinea Cristina Acidini, presidente dell’Opera di Santa Croce, “è forte e il suo messaggio di speranza è ricco di significati anche per il tempo presente”.
Torna quindi accessibile a tutti uno spazio di grande fascino del complesso monumentale. La Sagrestia, dove per un breve periodo sono state consentite solo visite speciali, al massimo di 15 persone, è un vero scrigno della narrazione trecentesca della vita di Cristo con gli affreschi di Niccolò Gerini e Taddeo Gaddi. Nella Cappella Rinuccini, che si affaccia sulla sagrestia, c’è l’intenso racconto pittorico che Giovanni da Milano fa delle Storie della Maddalena.
Con la Sagrestia si riapre un percorso architettonico suggestivo che porta la firma di Michelozzo: il Corridoio del Noviziato, la Sala del Pozzo e la Cappella Medici con le grandi pale cinquecentesche del Bronzino, dell’Allori e del Salviati.
Non si fermano qui le novità per chi vuole visitare il complesso monumentale. Sempre da sabato scorso l’Opera di Santa Croce propone speciali visite guidate tematiche. Si potrà scegliere tra due percorsi: I capolavori di Santa Croce e Giotto pittore a Santa Croce e imprenditore a Firenze. I tour, della durata di 60 minuti, si svolgeranno nei giorni di sabato alle ore 11 e di venerdì alle ore 15 (con eccezione dei giorni 24, 25 e 31 dicembre). Chi vuole prenotarsi può farlo utilizzando il sito dell’Opera di Santa Croce con la sua biglietteria on line.
Santa Croce, luogo per eccellenza della memoria dantesca, è infine anche punto di partenza dei percorsi dedicati al Sommo Poeta. Nel mese di dicembre infatti i contenuti dell’app In Toscana con Dante, nata dalla collaborazione dell’Opera di Santa Croce con la Regione Toscana, si amplieranno con tre nuovi percorsi dedicati al Casentino, al Mugello e alla Lunigiana.
Il Cristo di Cimabue
L’imponente Crocifisso dipinto da Cimabue è una delle opere simbolo di Santa Croce e del dramma dell’alluvione di Firenze: il ricordo del catastrofico evento del 4 novembre 1966 è legato indissolubilmente alle immagini dell’opera sommersa dall’acqua, imbrattata di fango, portata via con mezzi di fortuna. Trasferita alla Limonaia di Boboli, appositamente approntata per accogliere in una prima fase i dipinti su tavola alluvionati, la croce fu oggetto di un lungo e innovativo restauro nei laboratori dell’Opificio delle Pietre Dure alla Fortezza da Basso, e dopo una serie di esposizioni in Europa e in America, venne ricollocata nel museo. Purtroppo la perdita del sessanta per cento della superficie pittorica non permette più di apprezzarne l’altissima qualità tecnica, ma non ha scalfito la sua potenza espressiva. Per proteggerla dal rischio alluvionale nel 2014 è stata appesa nella sagrestia.
La tavola, presumibilmente, venne realizzata per la “seconda Santa Croce”, la cui costruzione era stata avviata intorno alla metà del Duecento, ma venne riutilizzata nell’attuale chiesa edificata a partire dal 1295. Con molta probabilità era apposta – rivolta verso i fedeli – sul tramezzo che li divideva dai frati francescani, ma nei secoli cambiò diverse collocazioni, come testimoniato dalle fonti. Nel 1900 è stata trasferita nel museo allestito in quell’anno nel cenacolo.
Cristo è raffigurato secondo l’iconografia di origine bizantina del Christus patiens, cioè defunto, con ai lati la Madonna e san Giovanni Evangelista dolenti.
Appare nuovo rispetto alla pittura di derivazione orientale il colore della figura di Cristo, che è quello reale della morte. Innovativa è anche la rappresentazione del corpo non più rigido e senza lo schema astratto della tripartizione del ventre, ma le cui forme sono modellate da un mirabile chiaroscuro. Le lumeggiature del perizoma, velato e raffinatissimo, lasciano trasparire le forme di un uomo vero.