IL VOLTO UMANO DEL MEDIOEVO
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- Redazione
Chi ha detto che il Medioevo è stata un’epoca completamente buia, caratterizzata da arretratezza culturale e scarsa sensibilità? Da quanto emerso da una recente ricerca archeologica, non mancavano atti di umanità e civiltà. Un gruppo di ricercatori e ricercatrici ha scoperto i resti di una persona affetta da acondroplasia, una forma di nanismo che rientra nel novero delle malattie rare. Si tratta del sesto caso ritrovato in Italia in uno scavo archeologico.
E questo è stato possibile accertarlo applicando criteri clinici che prima non erano mai stati utilizzati per diagnosticare questa patologia su un campione umano antico. Ma un altro aspetto interessante di questo rinvenimento riguarda l’ubicazione in cui le ossa si trovavano, e cioè all'interno di un cimitero, insieme ai resti di altre persone. Secondo chi ha condotto lo studio, questo dimostrerebbe che, in questo caso, il pensiero comune che gli individui affetti da patologie e malformazioni venivano emarginati dalla società medioevale è forse da rivedere. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Science Direct. Il primo autore è Omar Larentis, ricercatore al Laboratorio Bagolini Archeologia, Archeometria, Fotografia del Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento, già coordinatore del Centro di ricerca in Osteoarcheologia e Paleopatologia dell'Università dell'Insubria. Interdisciplinare il gruppo di ricerca. Al suo interno troviamo professionisti e professioniste con competenze in biologia, storia della medicina e radiologia. Larentis in particolare, è antropologo fisico e paleopatologo. Si occupa di restituire un'identità ai corpi di persone che emergono dagli scavi attraverso analisi biologiche. E di riconoscere malattie antiche sui resti di natura archeologica. Le attività si sono svolte nel cimitero della chiesa di S. Eusebio ad Azzio, in provincia di Varese, nella zona della Valcuvia, in uno scavo che era già avviato nel 2012 dalla Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le province di Como, Lecco, Monza-Brianza, Pavia, Sondrio e Varese sotto la direzione scientifica di Barbara Grassi, la funzionaria territorialmente competente. Durante le operazioni sono stati scoperti due frammenti di ossa – parti di omero e femore – diversi rispetto al solito dal punto di vista morfologico: erano infatti molto piccoli, arcuati e tozzi. Subito chi conduceva i lavori ha capito di essere di fronte a una patologia non comune. La sfida è stata riuscire a proporre una diagnosi differenziale con così pochi elementi. In che modo? Applicando per la prima volta metodologie cliniche impiegate per pazienti moderni. Utilizzando non solo dati provenienti dalla letteratura clinica e paleopatologica, ma anche facendo valutazioni morfometriche macroscopiche e tecniche radiologiche. Le ossa sono state esaminate mediante radiografia digitale e tomografia computerizzata, e poi ricostruite in 3D. Ogni frammento osseo è stato scansionato con tecnologie all’avanguardia e innovative. Da tutto questo si è stabilito che il soggetto fosse affetto da acondroplasia, una displasia scheletrica rara che si manifesta con una forma di nanismo disarmonico, e che avesse un’età perlomeno adulta. Come detto, si tratta del sesto caso in Italia che arriva da un contesto archeologico. Gli altri ritrovamenti sono avvenuti uno a Cividale del Friuli, un altro a Roma, uno nella grotta del Romito (Cs), uno a Modena e un ultimo nella certosa di Bologna.