Intervista con Carlo Silvano: Una ragazza da amare
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- Chiara Marcon
Nato a Cercola (Napoli), per molti anni Carlo Silvano, nella foto a sinistra, ha vissuto nel comune vesuviano di Pollena Trocchia; nel 1999 si è trasferito a Treviso e dal 2005 risiede a Villorba con la moglie e i tre figli. A maggio 2012 è tornato in libreria il suo romanzo intitolato "Il boiaro" ambientato in Russia al tempo dell'ultimo zar. Con le Edizioni del noce ha pubblicato libri che riguardano l’emigrazione, il carcere, il mobbing e la massoneria.
Nella piattaforma digitale di YouCanPrint sono disponibili diverse pubblicazioni come il romanzo "L'onda azzurra. Viaggio nel mondo di Crio" e la raccolta di racconti “Il bambino e l’avvoltoio”. È fondatore e presidente dell'Associazione culturale "Nizza italiana”. Nella nostra intervista, ci racconta il suo nuovo romanzo, “Una ragazza da amare”, ambientato in un liceo partenopeo, dove la vita e non solo di un gruppo di ragazzi si incontra e si scontra con la realtà di tutti i giorni, con un linguaggio semplice e delicato, Carlo, affronta tanti temi in questo suo scritto, non trascurando la cura per i dettagli e il verismo nella narrazione:
Hai ambientato il tuo racconto a Napoli, ma vivi da tanti anni a Treviso. Come mai questa scelta?
Treviso è la mia città di adozione e a Treviso devo molto perché è nella Marca trevigiana che ho la mia famiglia e il mio futuro, ma Napoli resta la città che mi ha formato, soprattutto sotto il profilo umano e culturale, ed è Napoli che custodisce i sogni della mia infanzia e giovinezza. Camminare per le strade e per i vicoli di Napoli all’ombra dei suoi secolari palazzi e delle sue preziose chiese, respirarne la storia, scoprire che dietro un muro fatiscente è custodita un’opera d’arte che non tutti conoscono, guardare i volti delle persone che incroci intuendone il carico di speranze e di sofferenze che portano dentro di sé e ascoltare la sapienza popolare quando hai occasione di conversare con una persona anziana, non solo ti può arricchire come donna o come uomo, ma può stimolare la tua sensibilità artistica e farti viaggiare con la fantasia aprendoti la mente.
Chiara, se avrai modo di visitare Napoli, ti accorgerai che questa città ti può dare tanto in termini di emozioni e sentimenti, vuoi che la guardi e l’abbracci dalle mura di castel Sant’Elmo, vuoi che ti limiti ad osservare il via vai delle persone stando seduta dietro ad un tavolino di un caffè della Galleria Umberto.
Certo, anche a Treviso avrei potuto ambientare un romanzo del genere, ma non avrei potuto attingere nulla dalla mia adolescenza e da quelle emozioni che ho vissuto a Napoli.
C’è molto verismo nel tuo romanzo, soprattutto nella descrizione minuziosa e particolareggiata dei luoghi… i personaggi che ti hanno ispirato esistono davvero?
A Napoli non esiste un liceo classico intitolato all’eroina nizzarda Caterina Segurana, mentre sono conosciuti e apprezzati tutti gli altri luoghi che ho menzionato, come castel Sant’Elmo che domina la città e il golfo, ma anche altri luoghi - strade, parchi e chiese - che ho frequentato quando ero studente. Conoscendo la realtà napoletana e ripensando a certi docenti e compagni di banco che ho avuto, credo che tante scuole avrebbero potuto offrire il palcoscenico per una storia così come l’ho raccontata nel mio romanzo.
I ragazzi protagonisti del libro sono molto uniti tra loro e compensano sempre una mancanza con un talento: sono un gruppo che alla fine trova sempre un equilibrio nonostante le diversità. Pensi sia davvero possibile nella scuola di oggi tutto questo e in una società complessa come la nostra?
Sono convinto che tantissimi giovani sentano l’esigenza di fare gruppo, di incontrarsi e di esprimersi confrontandosi con i propri coetanei; certo, alcuni non hanno le idee chiare e seguono mode che si rivelano deleterie e che li portano a conoscere realtà di emarginazione o addirittura il carcere. A noi adulti fa male sapere che tra le mura delle aule ci sono studenti, per fortuna pochi, che arrivano ad aggredire verbalmente o addirittura fisicamente i propri docenti, ma dobbiamo anche essere consapevoli che tanti ragazzi cercano nei propri insegnanti una figura di riferimento, un “qualcuno” che possa aiutarli a far emergere e a far fruttare i talenti che hanno. Sono tanti i giovani che sono impegnati a sviluppare il proprio talento musicale o a seguire una disciplina sportiva, così come quelli che si dedicano ad attività di volontariato: anche loro potrebbero avere un ruolo di primo piano nel romanzo “Una ragazza da amare”. Se i membri di un gruppo hanno gli stessi valori, come quello della lealtà e della capacità di assumersi le proprie responsabilità quando si commettono degli errori, allora la diversità non fa paura e non è un problema, se per diversità intendiamo il fatto che ognuno abbia un proprio carattere, dei limiti in certi ambiti e dei propri obiettivi.
Che tipo di lettore sei e qual è il tuo scrittore preferito?
Dò molto spazio alla lettura e ho letto e riletto tante commedie di Eduardo De Filippo. Due sono le autrici che prediligo: Matilde Serao e Grazia Deledda. Ci sono libri che mi hanno fatto riflettere molto, che sento nel profondo del mio animo, come “Il giorno del giudizio” di Salvatore Satta, “L’isola di Sachalin” di Anton Checov e “Lettere dalle case chiuse” di Lina Merlin.
“Una ragazza da amare”, è il titolo del libro, ma l’amore non è l’unico sentimento forte: è presente anche la morte, che fin dall’inizio turba Martina; la morte la spaventa ma convive con la sua malattia e il suo inesorabile decorso…
Probabilmente per chi crede che dopo la morte non ci sia nulla, l’amore è un sentimento destinato a morire, a dissolversi insieme al nostro corpo. Chi invece concepisce questa vita terrena come il tratto di un percorso che non ha una fine, allora l’amore può essere pensato anche come un fuoco che si accende con la scintilla provocata dal contatto tra una mano d’uomo e quella di una donna. Due mani che si tengono, che non si lasciano, soprattutto nei momenti di difficoltà. Nel mio romanzo c’è un personaggio, Martina, che percepisce come la vita stia uscendo dal suo corpo, ma ciò non le impedisce di cercare l’amore e provare a cogliere tutto ciò che c’è di bello nell’amicizia, negli affetti, nello svago e nello studio. Anche la cronaca di questi ultimi anni ci ha fatto conoscere adolescenti e giovani che hanno lottato fino alla fine contro un male incurabile con tutte le proprie forze, lasciando semi di bontà nelle persone che hanno conosciuto e impegnandosi negli studi. Martina, allora, non è un personaggio che vive solo tra le pagine del mio libro.
La professoressa di latino, del tuo libro, è stata per caso una tua insegnante? O vorresti averla avuta un’insegnante cosi?
A volte fare lo scrittore ti riduce a fare un po’ il burattinaio: “crei” dei personaggi e li fai muovere come vuoi soprattutto se sono personaggi che avresti voluto incontrare nella realtà. Purtroppo non ho avuto un’insegnante come quella che ho descritto nel mio libro: se l’avessi avuta ne avrei tratto tanti benefici. Sono convinto, però, che nella realtà della scuola italiana ci sono tanti docenti – e non solo di latino! – seriamente impegnati a seguire i propri studenti per formarli didatticamente e, soprattutto, per far sì che possano diventare dei buoni e responsabili cittadini.
Di che cosa ha bisogno la scuola di oggi secondo te?
Oggi si parla tanto di “buona scuola” e per farla bisogna avere docenti capaci di trasmettere il piacere di apprendere e studenti disposti a impegnarsi nello studio. La scuola – e qui parlo come genitore di tre alunni – non ha bisogno di mettere in cantiere progetti per migliorare l’offerta formativa, ma insieme alla famiglia deve mettere i docenti in condizione di insegnare agli studenti e quest’ultimi sono chiamati a rispettare le basilari regole della buona educazione. Nel mio romanzo tra i ragazzi e la docente si istaura un rapporto di reciproca stima: i ragazzi non sono maleducati e in certe discipline ottengono ottimi voti, ed è per questo che anche quando commettono degli errori sarà proprio la docente ad intervenire affinché non ricevano severe punizioni.
Sono convinto che anche nella scuola di oggi ci siano docenti che stimano gli allievi che si danno da fare e fanno sì che questo rapporto di stima non venga meno nemmeno quando si commettono errori dovuti alla tipica esuberanza giovanile.
Chi ha letto per primo il tuo libro e perché?
Come tutti i miei precedenti libri anche questo lo ha letto mia moglie e ovviamente si è data una spiegazione riguardo a certi miei modi di pensare e di fare…
Il romanzo può avere un seguito?
Sì, sto pensando ad un nuovo romanzo con i ragazzi che terminata la scuola iniziano a frequentare l’università e tra i protagonisti non mancherà la docente che hanno avuto al liceo.