RitrattoRoberta Nicolò ( foto a sinistra),  è  giornalista e scrittrice ticinese, dal suo primo libro “ Non sono cappuccetto rosso”, in questi giorni a Mendrisio, Ticino,  si sta girando un cortometraggio che affronta il delicato tema degli abusi sui minori.

Il racconto autobiografico è sceneggiato dal regista Giona Pellegrini, e la protagonista è interpretata dall’attrice Federica Carra, insieme all’attore italiano Pietro Ghislandi.

Non sono cappuccetto rosso, è un racconto non solo di un abuso, subito dalla protagonista all’età di cinque anni, ma di una rinascita di una donna che dopo l'aggressione  trova equilibrio e serenità , una donna che non ha  più paura del lupo cattivo, Roberta, non è più cappuccetto rosso,  dalla sua nuova forza nasce la consapevolezza che la prevenzione è l'unico modo per difendersi dagli abusi. La sua storia, la scrittrice, la mette al servizio di tante persone in modo che non possa più succedere. 

Durante la realizzazione del cortometraggio, ho raggiunto Roberta che mi ha rilasciato questa bella intervista: 

 

 

“Non sono più cappuccetto rosso”, che cosa è cambiato da quando è stato pubblicato il libro per te?

Quando ho deciso di scrivere il racconto non sono cappuccetto rosso l’ho fatto con due obiettivi precisi: il primo era quello di far capire alle persone cosa significa, per un bambino, subire una molestia. Il mio racconto si concentra su quello che succede a livello psicologico ad una vittima. Il secondo era quello di levare il velo di vergogna che di solito assale le vittime di questo tipo di reato. Ci ho messo la faccia pubblicamente perché non ci deve essere vergogna nell’aver subito e, soprattutto, non ci deve essere vergogna nel denunciare. A livello personale non è cambiato molto, se non il fatto che sento una responsabilità ancora maggiore rispetto ai tanti, che come me, sono stati vittime di pedofilia. Una responsabilità che mi rende sempre più attiva nel sensibilizzare sul tema e nel ricordare l’importanza della prevenzione.

 

non sono cappuccetto rosso web2Tu sei impegnata attivamente e personalmente alla prevenzione della pedofilia, nei tuoi vari incontri il pubblico come accoglie il tuo racconto, e che tipo di domande ti fanno? Sono attiva soprattutto nel portare il tema all’attenzione del pubblico e nel sensibilizzare alla modalità corretta con cui occorre approcciarsi a questo tema così delicato. Le parole hanno un peso. Lo faccio con i mezzi che conosco, scrivendo, coinvolgendo altri linguaggi artistici come il teatro, la danza il cinema. Negli incontri che ho con la gente le domande più classiche sono su come sto oggi, se si può effettivamente superare un trauma così grande. La mia risposta è sì. Si può superare. Ci vuole impegno e il giusto accompagnamento psicologico, ma si può superare. Tati poi mi chiedono cosa provo per il mio molestatore. Rispondo che mi piacerebbe conoscere la sua storia, capire cosa lo ha portato ad essere un sexual offender. Perché è importante, ai fini della prevenzione.

 

Tu sei stata vittima di un abuso incancellabile, dove hai trovato la forza per andare avanti? La forza la trovi dentro di te. Il fatto di essere una vittima di reato, che si tratti di pedofilia o di altra violenza, è qualcosa che non puoi cambiare. Ma quello che invece puoi cambiare è te stessa. Puoi scegliere di non restare legata per sempre a quell’evento, scegliere di affrontarlo e superarlo per avere la piena libertà di apprezzare la vita. Una vittima non ha responsabilità per quello che le è capitato, ma può decidere di essere responsabile per il suo futuro. Non è facile però questo va detto.

 

Molti giovani non denunciano gli abusi ricevuti da bambini per paura poi di essere etichettati, e magari non capiti? Esatto. Questo è un problema enorme. Ecco perché ho scritto non sono cappuccetto rosso e perché mi sono esposta, e continuo a farlo, pubblicamente. Essere stati una vittima di pedofilia non significa essere colpevole,  non significa essere un emarginato sociale, non significa essere una persona da etichettare. La società però tende a farlo. Occorre invertire questa tendenza. Una vittima è una vittima con tutta la sua dignità. Bisogna creare tutti i presupposti giusti per fare sì che denunciare non debba implicare un coraggio sovraumano. Deve essere la normalità.

 

Perché quando l’abuso è nei confronti delle donne, c’è sempre una parte delle persone che pensa “ sicuramente se l’è cercata”? Perché è più facile pensare che la responsabilità sia di singole persone, la vittima che se l’è cercata, l’aggressore che è un mostro, piuttosto che capire che la responsabilità di un certo tipo di atteggiamento è da attribuire, anche, alla società tutta e quindi nessuno è chiamato fuori. Insegnare ai più giovani il rispetto per se stessi e per gli altri è una buona base di partenza.

 

Il movimento ME TOO, ha scosso solo per un periodo il mondo dorato di Hollywood, o pensi che si allaghi piano piano e si possa diffondere in tanti settori lavorativi? Il problema del rispetto non riguarda un settore specifico ma, come dicevo, tutta la società.  Bisogna partire da una riflessione sull’educazione dei più piccoli. Dai grossi  problemi che un’educazione violenta crea nei giovani. Per questo gli adulti devono dare il buon esempio e cambiare mentalità. Se un bimbo non viene rispettato non imparerà a rispettare.

 

Quanto è importante insegnare a dire di NO e come difendersi dagli abusi? È importante. Ci sono delle ricerche a livello internazionale che hanno stabilito in maniera chiara e sperimentata che, applicando alcune linee educative che accompagnano il bambino nel suo percorso di crescita in modo protettivo e rispettoso dei suoi progressi verso l’indipendenza, i casi di abuso e violenza diminuiscono in maniera significativa.

Che consigli tu senti di dare alle famiglie con bambini per prevenire gli abusi? Non sta a me dare consigli sulla prevenzione, ci sono esperti che lavorano per questo. In Ticino, per esempio, c’è ASPI. Ma quello che posso dire è che il rispetto è la base.

 

In questi giorni il regista Giona Pellegrini, sta girando a Mendrisio il cortometraggio, basato sul tuo racconto, che effetto ti fa essere interpretata da un’attrice, Federica Carra, come è entrata nella parte? Sì con Giona Pellegrini abbiamo scritto il cortometraggio che vuole raccontare cosa significhi affrontare il proprio disagio e scegliere di lasciare andare i traumi del passato. Essere interpretata da un’attrice fa un effetto strano. Da un lato una sorta di curiosità e dall’altro anche un po’ di timore. Non è facile rendere attraverso le immagini certe emozioni e occorre stare molto attenti quando si raccontano storie così delicate. Io non ho visto le riprese e non ho mai incontrato Federica, per una scelta del regista. Le riprese sono terminate ed ora inizierà il lavoro di montaggio, mi lascerò sorprendere dalle immagini girate da Giona.

 

In questi giorni Papa Francesco sta affrontando un summit proprio sulla pedofilia, cambierà qualcosa secondo te, e quando è importante punire i colpevoli? È già cambiato qualcosa proprio per il fatto che si sta affrontando il tema. Punire è importante. Come per qualunque altro reato. Occorre denunciare, processare e laddove c’è un colpevole punire. Ma non basta. È anche necessario prevenire. La prevenzione deve essere l’obiettivo principe. Ecco perché credo fermamente che si debbano pensare progetti per un accompagnamento in carcere dei sexual offender e dei progetti che mirino all’ascolto prima che la persona agisca. Ci sono dei progetti di ottimo valore, per esempio al carcere milanese di Bollate, che permettono di prevenire anche una possibile recidiva.

 

L’uomo che ti ha fatto del male, è in carcere, per fortuna, ma tu sostieni che non bisogna fare i nomi o creare una gogna mediatica sulla persona in se, ma sul problema e cercare di risolvere, ma non sarebbe meglio conoscere il nome e cognome di pedofili in modo da tutelare i cittadini visto che poi una volta usciti di prigione tornano allo stesso paese di prima ? Non è in carcere, il mio aggressore, sono passati quarant’anni oggi ne avrebbe quindi 88. Ma non è importante. Sì, sono convinta che fare i nomi non serva assolutamente a nulla e anzi è molto rischioso su più fronti. Il primo è che mettere alla gogna mediatica il reo espone alla gogna anche la sua famiglia che non è colpevole. Mi immagino un bimbo che già soffre per le colpe del suo papà e che viene additato dai compagni di classe, perché il giornale riporta il nome di suo padre rendendo anche lui riconoscibile. Il solo pensiero della sofferenza inutile di questo bambino dovrebbe fare capire perché, mettere pubblicamente il nome degli aggressori alla mercé della folla, sia deprecabile. In secondo luogo crea una falsa idea di prevenzione che rischia di essere un boomerang. Se insegno a mia figlia o mio figlio che si deve guardare da tizio o caio perché conclamati pedofili, rischio di non ricordare che un aggressore, prima di essere preso, si nasconde abilmente nelle maglie della società. Quindi, nella maggior arte dei casi, tra e persone di fiducia. Avremmo l’attenzione puntata su un predatore già noto e non presteremmo più attenzione alle giuste forme di prevenzione primaria. Non da ultimo laddove questo è stato fatto, i risultati in termini di diminuzione degli abusi hanno dimostrato esattamente il contrario, ovvero sono aumentati i casi.

 

In Svizzera già dall’asilo si consiglia ai genitori di lasciare andare a scuola i bambini a piedi da soli, in piccoli gruppi, non è forse un po presto esporre a pericoli inevitabili bambini cosi piccoli? Fare prevenzione serve proprio per evitare che i bambini debbano crescere senza la libertà di fare i passi giusti per una corretta presa di autonomia. Non dobbiamo eccedere nella paura e non dobbiamo trasmettere paura ai bambini, ma dobbiamo invece aiutarli a comprendere cosa significhi un adulto che li rispetta e cosa invece non è rispettoso. Questo darà loro gli strumenti per cogliere segnali di pericolo. Dobbiamo anche imparare noi adulti ad ascoltare i più piccoli, a prestare loro attenzione.

 

Quanto nelle scuole svizzere si parla del problema e della sua prevenzione? Non ho dati per il resto della Svizzera, ma in Ticino ogni bambino che va a scuola segue un progetto di prevenzione che si chiama sono unico e prezioso. Questa è una buona prassi che andrebbe incrementata.

 

Quando sarà pronto il cortometraggio e quale sarà il suo uso? Non sappiamo ancora quando uscirà il cortometraggio e il suo scopo è quello di sensibilizzare sul tema.

 

Sopra a destra il set durante del riprese del cortometraggio " Non sono cappuccetto rosso". 

 

ASPI : https://www2.aspi.ch/