Intervista con il regista Riccardo Ferraris : Eri tu
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- Chiara Marcon
“ Eri tu”, è il nuovo film di Riccardo Ferraris, un documentario che esplora l’identità personale dei tre protagonisti, che arrivati ad un certo punto della loro vita raccontano a cuore aperto davanti alle telecamere le loro esistenze mettendo insieme il puzzle del proprio vissuto. Margherita Schoch attrice teatrale, Franco Lurati che ha scelto di vivere per oltre venti anni tra il Ticino e l’Argentina per inseguire il suo sogno, quello di possedere in sud America una tenuta agricola, e Gianfranco Cereghetti anima e cuore di un paesino di Muggio, che con lo spopolamento resta l’unica memoria storica del paesino della valle.
Il film è girato per la maggior parte tra tra Morbio Superiore, Arogno e la Valle di Muggio, paesaggi e territori che integrano personaggi e storia fino a fondersi in un’unica narrazione emozionante ed introspettiva che lascia allo spettatore tante emozioni e tanti interrogativi esistenziali che pian piano che la vita si snoda trovano riposta. In questi giorni impegnato nella promozione di Eri tu, Ferraris trova il tempo per un’intervista ecco come ci racconta il suo lavoro:
Il 22 aprile a Mendrisio ci sarà la proiezione in anteprima di “Eri tu”, ci racconti come è nata l’idea per questo film?
Io ho lavoro come video maker per la televisione svizzera e la scorsa stagione ho lavorato per “Filo Diretto”, un programma dedicato al territorio ticinese ovviamente, dove si dava spazio alle persone del posto, persone semplici che avevano e volevano raccontare la loro storia. Ogni volta che si intervistava una persona interessante mi segnavo il nome e lasciavo questo nominativo scritto nel quadretto che porto sempre con me per gli appunti. Questi nomi sono rimasti scritti per un po’ in quelle pagine, finché ho deciso di mettere insieme delle storie personali, dove poter fare un ragionamento sul concetto di identità, poter raccontare che cosa vuol dire chi siamo attraverso le scelte che abbiamo fatto, le persone che abbiamo incontrato i posti che abbiamo visitato. Ho selezionato tre personaggi che fossero anziani, verso il finire della loro esistenza e definire quello che sono oggi attraverso il loro passato.
Come hai scelto i tre protagonisti del film, e da quanti nomi sei partito?
Io avevo una decina di nomi segnati, poi i tre che hanno subito accettato di girare con me, erano in cima alla lista, sono stati da subito disponibili. Ho scelto loro per quello che avevano da raccontare. La storia di Franco Lurati mi aveva colpito perché cerca un’altra esistenza in una altra parte del mondo, nel sud dell’Argentina e mi era sembrata veramente una scelta molto forte quella di trasferire tutto per 21 dall’altra parte del mondo. La storia di Margherita è più complessa, mi è piaciuta da subito come persona, donna, molto profonda, acculturata, che riesce sempre dare una versione unica delle cose, la prima volta che l’ho incontrata mi ha raccontato tutte le fatiche che ha dovuto passare come attrice negli anni cinquanta. Molta parte, lavorativa, che riguarda la sua vita l’abbiamo girata a Zurigo, è scappata dal Ticino a diciotto anni purché i suoi genitori non volevano che diventasse attrice, lei aveva immaginato che a Zurigo avrebbe avuto qualche possibilità di carriera, così abbandona il Ticino prende il treno si trasferisce e inizia a studiare a lavorare insieme a Bruno Ganz. Ha vissuto dieci anni a Zurigo, per poi esibirsi nei teatri in Germania, Olanda, Svizzera, c’è una scena girata in città, dove lei davanti alla camera ha ripercorso la vita che era sua a quell’epoca, i teatri dove si è esibita, i bar che frequentava, la casa dove abitava. L’ultima storia la volevo semplice ma straordinaria allo stesso tempo. Non volevo passasse l’idea che il concetto di identità si forma solo quando una persona fa scelte fuori dal comune, così ho incontrato a Muggio, Gianfranco Cereghetti, che al contrario di Margherita e Franco, rimane nel paesino, e racconta con tristezza l’abbandono che negli anni ha subito, e lo sparire pian piano di negozi, banche, di tanti giovani. Lui rimane perché ha piacere di vivere dove hanno abitato i suoi genitori, la sua storia inizia con un giro in motocicletta, un vecchio modello, ma lucida e ben tenuta degli anni settanta, piano piano poi si capisce perché Gianfranco tiene cosi tanto a quella moto. Nella storia racconta che la moto era del fratello, che l’aveva comprata tre settimane prima di morire a soli 21 anni. Questo signore anziano che corre in moto per Muggio, sembra confermare la sua volontà nel non abbandonare, ne il luogo e metaforicamente neanche il fratello.
Con chi dei tre protagonisti è stato più facile lavorare?
Tecnicamente parlando con Margherita, attenta a certi dettagli, essendo una del mestiere, ma il lavoro di ripresa comunque è stato comunque minore rispetto a quello a camere spente. Per settimane ho cercato di vivere a stretto contatto con i tre protagonisti per creare una sinergia. Una volta iniziate le riprese il film, si è svolto tutto in modo spontaneo ed automatico, ed insieme abbiamo deciso che cosa dire, cosa riprendere, è stato un approccio alle storie molto delicato, un entrata in punta di piedi.
Perché hai scelto degli anziani, visto che di loro, nella nostra società non se ne occupa quasi più nessuno?
Noi quando vediamo una persona anziana, per strada, al supermercato, o alla fermata di un bus, immaginiamo di sapere il suo percorso, immaginiamo che questa persona abbia una vita uguale a tutti gli atri anziani, che abbia lavorato, che abbia avuto una famiglia dei figli, e quindi di conseguenza dei nipoti. Noi non immaginiamo, che invece, quell’anziano, è portatore di storie ed alcune sono straordinarie. La mia idea era andare a prendere il concetto della persona anziana in una prospettiva diversa, e dimostrare che ogni anziano ha potenzialmente dietro e dentro di se una storia molto forte. Poi per questioni di sceneggiatura, diciamo, avevo bisogno di una persona anziana perché volevo ragione sul tema dell’identità, e una persona in la con l’età ha questo concetto sviluppato e fa parte integrante del suo vivere attuale, mentre con i giovani il concetto di identità poteva variare anche il fase di ripresa visti i continui cambiamenti.
E’ stato facile per i tuoi protagonisti raccontare la propria storia ?
Io questo lavoro lo volevo fare perché sono arrivato a riflettere su un concetto di identità, come posso definirmi? e attraverso quali elementi ? Io i miei protagonisti, li ho ascoltati attentamente e rispettatati nella loro definizione di se. La persona anziana ha voglia di raccontarsi, non ha pudore o vergogna nel raccontare i fallimenti, la mia generazione è più abituata a tenerli nascosti a non dargli peso. Nel personaggio di Margherita, questo lato esce in modo evidente, lei racconta i suoi fallimenti personali senza avere problemi, in una scena arriva a dire che il suo mestiere di attrice è fatto anche dalle sue vicende personali e dice che quando deve interiorizzare un personaggio, se deve andare a recuperare una certa emozione ad esempio il dispiacere, lei è contenta di aver avuto nella sua vita vera dei dispiaceri, dei fallimenti perché li riporta nel suo personaggio e sul palco è più veritiera.
Che cosa accomuna le tre storie ?
In realtà è il sotto ceneri, il territorio, a me piace molto la documentaristica di ritratto, così racconto il territorio attraverso ai personaggi.
Quale sarà il tuo prossimo progetto?
Intanto promuovere “Eri tu”, in varie parti della Svizzera e nei film festival, e poi mi piacerebbe raccontare altre storie con persone di età diverse, il mio lavoro continuerà in questo senso.
Venerdì 22 Aprile alle 19:30 presso il cinema Ciak di Mendrisio la proiezione in anteprima di “Eri Tu”, il documentario che vede come protagonisti tre straordinari anziani del Mendrisiotto.
Ingresso gratuito fino ad esaurimento posti (prenotazioni alla mail This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.), rinfresco offerto prima della proiezione.
DOCUMENTARIO “ERI TU” (54', 2022 – SVIZZERA) Regia: Riccardo
Approfondimenti:
Link del trailer : https://vimeo.com/692660534
SINOSSI:
Tre personaggi, tre storie straordinarie, un filo rosso: definire la propria identità di essere umano attraverso il racconto delle scelte e delle esperienze vissute.
Si comincia con Margherita Schoch, classe 1940, e la sua decisione di lasciare il Ticino alla fine degli anni ’50 per inseguire il sogno di diventare attrice. Un viaggio che l’ha portata a Zurigo prima (al fianco di un giovane Bruno Ganz) e nei teatri di mezza Europa poi. Dalla sua casa di Arogno, Margherita racconta i pregiudizi che come donna ha dovuto subire per una scelta professionale allora considerata inconsistente e frivola.
A Morbio Superiore il racconto prosegue con Franco Lurati (82 anni) che, per caso, durante un viaggio di lavoro si è ritrovato completamente travolto dall’energia del Sud America. Lurati decide, contro ogni futuro prima immaginato, di acquistare un immenso terreno in Argentina e di fare la spola tra il Sottoceneri e l’America Latina per aprirsi completamente a un Mondo nuovo, percepito come meraviglioso. Solo alla fine del film, Lurati arriva al punto centrale della propria esistenza: il momento in cui ha deciso di adottare una bambina sudamericana, vero e proprio anello di congiunzione della sua vita sempre vissuta a cavallo di due continenti.
A Muggio, invece, Gianfranco Cereghetti, classe 1951, ci insegna come la straordinarietà di un’esistenza può essere fatta da gesti semplici: rimanere nel territorio che ha visto nascere i propri nonni prima e i genitori poi, l’impegno per la valorizzazione della propria valle, essere testimone oculare dei tempi che scorrono cambiando per sempre un piccolo pezzo di Mondo. La passione di Gianfranco per Muggio definisce la sua identità, in un racconto personale che solo alla fine del film si esplicita in un commovente colpo di scena.
REGIA:
Riccardo Ferraris, regista e videomaker.
Ha studiato e lavorato in California, dove ha vissuto per nove anni.
Nel 2017 ha debuttato alla regia con “The War in Between”. Il documentario che racconta dello stress post-traumatico di un gruppo di soldati americani rientrati dalla guerra in Iraq, ha vinto il Festival del Cinema di Roma (2017) nella sezione ExtraDoc e partecipato al Santa Barbara International Film Festival e Big Sky Documentary Film Festival.
Nel 2019 per il magazine “Rolling Stones” ha realizzato la serie web “Weirdo”: una raccolta di documentari sulle nuove frontiere della società contemporanea: dal cibo alla finanza, dalle droghe leggere alla religione.
Dal 2020 è collaboratore esterno per RSI.