Massimo Prezzavento,  di origini venete ma romano di adozione esce con il suo primo romanzo, Siluetti, dopo aver, nonostante la giovane età, sperimentato e lavorato nel settore cinematografico dei corti. Lo scrittore, ci porta nella città eterna con un realismo concreto, che per tutta la trama accompagna il lettore, privandolo di qualsiasi filtro. 

Il linguaggio è diretto, espressivo, coinvolgente,  esplicito e  lascia poco all’immaginazione, nella scrittura e nella trama si viene coinvolti dall’inizio alla fine. Alex, è il protagonista, un ragazzo combattuto tra la realtà che vive tutti i giorni insieme ad Amelia e Giammi, due grandi amici che non lo lasciano mai, e le sue angosce che lo porteranno all’età adulta. 

In bilico tra quello che si è e quello che si vuole diventare, Alex ci porta a viaggi in bus nel cuore di Roma, dentro in un locale, dove in mezzo a tanta gente a volte ci si sente soli, a mettersi le cuffie per non sentire il rumore del mondo esterno. Nella vita di Alex, arriva Linda, bella, complicata, difficile da afferrare e da vivere nella quotidianità di tutti i giorni. Proprio insieme a lei, Alex si confronta con le sue scelte, le sue paure, le sue emozioni.

Siluetti, è un viaggio all’interno del nostro io più profondo, quello che non sempre, per fortuna ci fa fare sempre scelte razionali. Attraverso il dolore, poi si arriva all’età della consapevolezza, quella che per Alex è ancora lontana. (Nelle foto lo scrittore Massimo Prezzavento e la copertina del suo nuovo romanzo).

 

 

Intervista: 

Partiamo dal titolo del libro….Il titolo del libro nasce durante una passeggiata per Roma, con un’amica. Le chiesi quale fosse la sua parola preferita nella sua lingua, il finlandese, e lei mi rispose “Siluetti”. Comunque il manoscritto nasce da un copione cinematografico, e nel progetto primordiale le silhouette, le ombre e le forme, scenicamente, avevano un ruolo centrale per quanto riguarda l’estetica delle immagini, ho provato a trasporre la stessa sensazione nei capitoli di un manoscritto, inoltre la parola “silhouette” (Siluetti in finlandese) è di estrema importanza nelle ultime pagine cruciali della storia

La storia è ambientata a Roma, perché hai scelto questa città viste le tue origini venete? Abito a Roma da quando ho diciott’anni, e questa città mi ha conquistato ancor prima di averla conosciuta realmente, il fatto di non essere romano d’origine, secondo me, mi ha permesso di disegnarla con un certo realismo.

Roma è descritta con un  vero realismo, nei viaggi in bus e le buche tra un san pietrino e l’altro sembra davvero di viaggiare insieme al protagonista, di passeggiare tra i quartieri a tutte le ore del giorno…Sì esatti,  narrando in prima persona, spero di essere riuscito a immergere il lettore dentro le strade di Roma e le vicissitudini del protagonista, che potrebbe essere chiunque di  noi. 

Quando hai iniziato a scrivere Siluetti ? quanto ci hai messo a sbrogliare la matassa di una trama cosi complessa? Siluetti, nasce da un copione scritto due anni fa, diciamo che tra scrittura del copione e trasposizione di esso in romanzo (passaggio che mi ha permesso di sviluppare ancor di più storia e personaggi) e scrittura, riscrittura, e revisione dei capitoli da cartaceo  a computer ci ho messo circa un anno. La matassa di questa storia intrecciata l’ho sbrogliata creandomi schemi e una linea temporale che rendesse tutto coerente e i flashback messi nei punti giusti (presenti maggiormente nella terza parte “Delusioni”), poi sono molti i passaggi, ma non saprei nemmeno spiegarli perché essendo un autodidatta da quando ho sedici anni ho imparato a lavorare di necessità virtù scrivendo e organizzando il lavoro con il mio metodo, il più affine ai miei tempi lavorativi e a ciò che voglio e devo fare.

Alex è un protagonista che interrompe la realtà e il realismo della sua vita, con i suoi continui sbalzi di umore e incrocio di pensieri, cambia continuamente la prospettiva del lettore che difficilmente può adagiarsi ad una lettura sistematica. 

Quando l’hai scritto pensavi già ad un tuo lettore tipo? Sinceramente non ho mai pensato a un possibile lettore tipo, io punto sempre al massimo risultato fregandomene dell’opinione altrui, non mi pongo mai limiti e dato che, ovviamente, difficilmente arrivo all’irraggiungibile obiettivo che mi ero prefissato, riesco quasi sempre a godermi ciò che ottengo avendo precedentemente puntato al top, come si dice “Punta alla luna e magari finisci tra le stelle”, credo molto in questo e spero che possa premiarmi in futuro, restando sempre me stesso condividendo il mio stile e le mie idee.

Il romanzo è diviso in tre parti : paure, emozioni. delusioni… un ragazzo giovane come Alex ha davvero già vissuto queste tre fasi nella sua breve vita? Di Alex non ho specificato l’età, si può intuire dal contesto, ma possiamo solo immaginare che abbia tra i 20 e i 30 anni, io ne ho 22, ma già a 18, purtroppo, ho vissuto tutto ciò che Alex ha passato, profondità delle esperienze che possiamo dedurre dai suoi pensieri e dalle sue preoccupazioni. Tanti altri ragazzi della mia età possono testimoniare lo stesso, e tanti adulti potrebbero riconoscersi nel protagonista, ripescando tra i loro ricordi.

Ci sono molti riferimenti cinematografici, riferimenti a film, ad artisti, ad opere d’arte…sembra che Alex  abbia vissuto già mille vite in questo libro, ma è davvero possibile? In un mondo come quello di oggi potrebbe sembrare impossibile che un ragazzo giovane possa avere tutti questi riferimenti e conoscenze, di cose che gli piacciono ovviamente, non in una visione totale. Ora i riferimenti sono altri infatti non mi ci riconosco molto in questo periodo storico, io in primis cerco di limitare le distrazioni passando pochissimo tempo sui social, usandoli solo per sponsorizzare i miei progetti, quando non ho nessun cortometraggio o libro da condividere mi tolgo da tutto e provo a vivere al meglio le esperienze possibili che mi passano davanti. Quindi diciamo che Alex è un po’ un’anima d’altri tempi, per certi versi: scrive le lettere, guarda tanti film, sogna di volare tra i palazzi di Roma, ama profondamente ciò che lo appassiona.

Alex a volte rende reali i suo pensieri, non è pericoloso nella realtà? È molto pericoloso, io ogni tanto per paura di non finalizzare i miei lavori mi faccio inghiottire dall’ansia e questo oltre a compromettere la mia salute fisica (in minimo impatto) rischia di rovinare cose che mi sono costruito attorno, come rapporti umani, o lontananza dai cari, o di completare i lavori stessi. È pericolosissimo, ma questa è una realtà che affligge molti giovani, e non, come me. Nel romanzo ho amplificato e esagerato questo lato di Alex, ma proprio per denunciare questo tipo di inconscia attitudine, ma ad oggi non saprei quale potrebbe essere una possibile soluzione, anche perché io uso volutamente questa cosa come scudo per proteggermi da influenze esterne, preferisco chiudermi nel mio, ma sapere che in qualche modo arriverò a destinazione, magari gli altri non lo sanno, ma sono tante le cose che non dico e che custodisco dentro di me, nulla di importante, ma sono le cose che mi fanno andare avanti.

Quanto c’è di Alex in te e viceversa? Tra me e Alex ci sono moltissime cose in comune, lui si trova in questo limbo tra l’essere uno spensierato ragazzo al diventare un adulto, anch’io mi trovo in questa fase anche se ora non ci penso più tanto. Il conflitto tra razionalità ed emozioni è un altro tema molto importante del libro, cosa che succede anche a me molto spesso in tante decisioni che prendo, che siano di maggiore o minore importanza. Gli incubi contaminano la sua vera vita, nel mio caso, invece, è l’incubo di una persona  che conosco, che mi ha me l’ha raccontato direttamente ed inconsapevolmente  è entrato a far parte del mio libro. 

Usi un linguaggio cinematografico, magari Alex e Linda diventeranno i protagonisti di un tuo corto? Ad oggi non so se tornerò mai a fare cortometraggi, è sicuramente un amore che non mi abbandonerà mai quello di scrivere e realizzare piccoli film, lo faccio da quando ho 16 anni. Però la lettura e la scrittura in prosa, negli ultimi anni, mi ha davvero conquistato, mi stimola e mi riempie di responsabilità, cosa che rende questo divertimento ancora più eccitante. Dare, o almeno provarci,  alle persone gli strumenti per vivere minuti o ore di spensieratezza immersi in una storia è una cosa senza prezzo, io ancora questa cosa, di fatto, non l’ho fatta, ma l’idea mi stimola a scrivere ogni giorno sempre di più.

Tornando ai corti hai iniziato giovanissimo a girarne, quale è stato il tuo primo corto e quanti anni avevi? Il mio primo corto è “Mark” e l’ho girato nell’estate 2018, avevo 16 anni. Stavo tornando a casa dai corsi di recupero al liceo artistico di Vittorio Veneto a casa mia a Conegliano, quando mi sono imbattuto nel sito di un festival di cortometraggi a Roma, il Cine Futura Fest, per partecipare si doveva girare un corto inerente a uno dei tre temi: natura, storia o integrazione. Quest’ultimo mi illuminò per alcune mie conoscenze. Conoscevo Andrea Manzalini, attore che ha fatto tanto teatro a Roma e tornato in patria (a Conegliano) ha deciso di fare il pittore e insegnare l’italiano ai ragazzi africani, tra loro c’era Mark, un ragazzo sveglio e con spiccate doti che conobbi alle mostre d’arte di Andrea. Proposi ai due di girare un film raccontando la storia della loro amicizia, e senza un vero copione, lasciando a loro la possibilità di spaziare (visto che  Mark non era un attore professionista), raccontammo l’integrazione non tanto con le parole, ma con i gesti e le esperienze che possono unire due persone che vengono da due posti opposti del mondo. Venimmo selezionati per la finale che si è svolta a novembre di quell'anno in un hotel a Roma dove vennero come ospiti attori come Christian De Sica, Lino Banfi, Eleonora Giorgi, Milena Vukotic e tanti altri, per poi risultare nella nostra categoria under 18. Andrea è stato un mio maestro (in tutti i sensi perché mi aiutava pure a recuperare le materie), devo tantissimo a lui perché ha sempre realizzato i miei sogni aiutandomi con piacere per la realizzazione di tanti miei cortometraggi quando andavo ancora a scuola, e avere un attore professionista come lui dava davvero uno step in più per la buona riuscita delle mie idee.

Come sei maturato come artista nel tempo nonostante la tua giovane età? Io sono sempre stato me stesso e ho sempre fatto in modo che le mie idee andassero in porto, non so se mi sono evoluto, se sono cambiato, ma ho sempre seguito l’onda delle cose che mi piacciono e in cui trovo dei valori importanti. Gli artisti sono stati e sono pochi ad oggi nel mondo, ed è questo il bello, molte volte mi fermo un attimo e osservo.

A quale dei tuoi corti sei più legato e perché? È una domanda difficilissima, se potessi prenderei una cosa da ognuno e li unirei, perché ogni corto che ho fatto ha qualcosa di speciale e ha una storia personale dietro speciale che lo rende unico. Sono molto legato a “Omar È Vivo” (corto in cui si vedono 20 minuti di Roma di notte completamente vuota) per il risultato in sé, per la complessità della realizzazione e perché sono riuscito a farmi aiutare dal grande Pino Ammendola per la realizzazione della splendida voce fuori campo, andare a lavorare a casa sua sia per limare qualche dettaglio del mio testo che per la registrazione effettiva del pezzo è stata un’esperienza unica. La sua voce è dentro il mio ultimo corto, ma ogni tanto anche nella mia testa quando ricordo qualche incredibile storia che mi ha raccontato. Per la realizzazione dei miei corti ho avuto molta fortuna, ringraziare chi mi ha aiutato è riduttivo, perché la maggior parte l’ha fatto gratis spinti dall’aiutare me o anche dalla bontà dell’idea che c’era dietro il progetto, il che mi rende davvero orgoglioso, senza di loro non sarei mai riuscito a raggiungere un certo livello con i miei corti, come per esempio per quanto riguarda la musica, per ben due volte (con “La dea del denaro” e “Omar È Vivo”) ho avuto la fortuna di disporre delle colonne sonore originali composte da Massimo Zennaro, scritte apposta per i miei film, non lo ringrazierò mai abbastanza, anche per tutto ciò che fa per me umanamente parlando.

Per tutto il racconto, le donne sono sempre figure importanti,  decidono o danno una svolta alla narrazione, tu hai dedicato il libro a tua madre, quanto conta nella tua vita? Mia madre conta moltissimo e possiamo dire che ogni sua caratteristica incarna tutte le donne che ho raccontato nelle mie storie. Forse ciò che mi ha aiutato di più è stata la sua schiettezza e la severità, ma anche la sincerità, che mi hanno portato sia a credere in me stesso, ma anche ad alzare l’asticella sempre di più, anche con i miei umili mezzi. Cosa che ha sempre fatto anche mio padre, anche se già da tanti anni non siamo più una famiglia unita, loro sono riusciti a fare in modo che inseguissi i miei sogni senza darmi dei limiti. 

Quali saranno i tuoi prossimi progetti lavorativi? Seguire la promozione di “Siluetti” e nel frattempo sto riprendendo in mano un manoscritto dell’estate scorsa, era incompleto e sto provando a dargli un senso più profondo, penso abbia molto potenziale e voglio sfruttarlo al massimo.

 

Casa editrice: https://www.gruppoalbatros.com

Libro https://www.gruppoalbatros.com/prodotti/siluetti-massimo-prezzavento/

Corti:  https://youtube.com/@massimoprezzavento8986?si=6OwPu54f8vchTd_s