PaolosolariIl mondo in bianco e nero: Namibia Sun Pictures

“Sun Pictures” è il primo libro di Paolo Solari Bozzi, dedicato alla Namibia. Fotografie in bianco e nero, che non raccontano solo un viaggio durato tanti mesi, a bordo del suo fuoristrada in compagnia della moglie Antonella, ma negli scatti, Paolo è riuscito a catturare momenti di vera purezza, destinati a durare in eterno. La fotografia che da hobby diventa passione, e voglia di raccontare e raccontarsi:

 Foto a sinistra Paolo Solari Bozzi in Namibia

 

Quando si è appassionato alla fotografia?

Direi da sempre, sin da piccolo amavo fare le foto con la Kodak Instamatic. La mia prima vera macchina fotografica, una favolosa Nikkormat che conservo e uso tuttora con passione, mi fu regalata dai miei genitori all’età di diciassette anni. Nel Collegio Francesco Morosini di Venezia, ove frequentavo gli ultimi tre anni dello Scientifico, mi fu messo a disposizione uno spazio che adibii a camera oscura e dove, con l’aiuto di un compagno più grande ed esperto, iniziai a sviluppare le mie pellicole in bianco e nero.

88WSi ricorda quale è stata la sua prima fotografia?

Sì certo, perché conservo un archivio di tutti i miei negativi dal 1974 ad oggi. Direi che la prima fotografia fu quella fatta ai miei compagni di Corso in fila indiana sul pontile del Collegio mentre ci recavamo a fare un giro in hovercraft, ma il mio primo scatto artistico fu, subito dopo, quello fatto in Piazza San Marco alla colonna di San Tòdaro in controluce. A questa seguirono tante altre immagini di Venezia che si presta notoriamente a riprese in bianco e nero, con la sua calma dei ponti e dei canali.

Perché la scelta della pellicola in bianco e nero?

Per due motivi di fondo: perché la realtà è a colori, mentre il bianco e nero permette di far sognare; perché il colore, pur bello, distrae, mentre il bianco e nero lascia trasparire le emozioni delle persone, come ben si vede nei primi film di Bergman.

Quali sono i soggetti che preferisce fotografare?

Partito come tutti con paesaggi, natura e palazzi ed usando il teleobiettivo per ritrarre i volti, mi sono pian piano spostato verso le persone, le situazioni che le ritraggono mentre fanno qualcosa, avendo l’elemento umano sempre più centrale. Fotografando quasi esclusivamente in Africa, direi che il mio è un reportage antropologico. Oggi lavoro solo con attrezzatura di medio formato e grandangoli. Ciò significa che ho compiuto il passo decisivo cui ogni fotografo serio dovrebbe a mio avviso tendere, cioè quello della creazione del contatto fra se stesso e la persona. Non “rubo” più lo scatto con il tele, ma mi avvicino, giocoforza, al soggetto, instauro un contatto con lui e scatto. Il risultato fotografico è molto diverso e la mia soddisfazione molto maggiore. Ciò non esclude che ogni tanto io riprenda e pubblichi i paesaggi mozzafiato dell’Africa!

31JPerché ”rifiuta” il digitale ?

Sviluppare i miei film e stampare i miei negativi in camera oscura – seguire quindi tutto il processo in prima persona – è sempre stato il mio credo e la mia passione. Non ho ceduto né tentennato di fronte alle sirene consumistiche del digitale. E’ il mio modo di onorare quest’Arte, di non darla vinta al consumismo, alla vita frenetica e alla banale manipolazione dell’immagine Rifiuto l’idea della resa immediata, sul display sul dorso della macchina, di uno scatto. Per me, lo scatto è sacro e lo sviluppo una magia che si ripete.

E comunque, al di là dell’immensa gioia che si prova in camera oscura quando a fine giornata le stampe definitive sono stese ad asciugare, la qualità di una stampa ai sali d’argento è infinitamente superiore a quella ottenuta da un getto freddo d’inchiostro sparato su un foglio col sistema binario: siamo ancora distanti da un’equiparazione, nel campo della fine art, del procedimento analogico con quello digitale.

E poi, non concepisco di esercitare questa mia passione al computer, manipolando le fotografie con Photoshop. Il digitale è un lavoro di sola testa, il processo in camera oscura mette a prova anche il proprio corpo, la maneggevolezza di tutti gli arti. Il risultato del processo chimico è una stampa su carta, qualcosa di tattile da tenere in mano, non un file che si somma ad altri migliaia di files… La mia meditazione avviene proprio lì, in un luogo nel quale creo e che pertanto per me è sacro.

Ha raccolto quest’anno le Sue foto dedicandole alla Namibia, in un volume dal titolo “Namibia Sun Pictures”: ci può spiegare un po’ la storia e il titolo di questa prima raccolta[psb1] ?

Come dicevo, ho concentrato la mia attenzione fotografica all’Africa. Questo perché da un lato amo da sempre questo Continente ed esso mi dà la possibilità di riunire le mie due grandi passioni, dei viaggi avventurosi a bordo del mio Land Rover e della fotografia; dall’altro perché secondo me, mentre è impossibile conoscere tutto il mondo, è viceversa concepibile conoscerne solo una parte – ma bene.

La Namibia e il suo popolo mi hanno affascinato a tal punto che vi ho trascorso un totale di 70 giorni nell’arco di due viaggi, girando in totale libertà e indipendenza e riprendendo i miei soggetti preferiti.

Il titolo del mio libro prende spunto non soltanto dalla Namibia quale uno dei Paesi più soleggiati al mondo, ma si rifà anche al nome dato da Louis Daguerre, nei primi decenni dopo la sua invenzione della fotografia nel 1839 ai suoi dagherrotipi, prima che questi si chiamassero, appunto, fotografie.

Perché ha scelto proprio la Namibia?

Pensi che la Namibia ha un territorio grande quasi due volte e mezza quello della Germania, ma con solo 2,2 milioni di abitanti. E’ facile pensare ai suoi spazi, alle vastità immense del territorio, ai suoi silenzi e al fascino e alla serenità. In Namibia, detta anche la “Svizzera dell’Africa”, si respira un’atmosfera di sicurezza e tranquillità, la popolazione è gentile ed interessata ai visitatori. Il Paese, pur povero, è ben attrezzato se si accetta di viverlo un po’ avventurosamente, che è quanto i più che lo visitano cercano. Quando sono in Africa sto bene. Lascio tutto il mondo industrializzato e le sue troppe convenzioni alle spalle e vivo immerso, giorno e notte, nella Natura. Ed infine, il contatto con tribù ancestrali, come quelle dei Boscimani, dei Damara o degli Himba mi porta ogni volta a riflettere che siamo tutti uguali e fratelli su questa Terra, che in ognuno di noi ci sono molti valori condivisi e vissuti ogni giorno e che alla fin fine, tutto o quasi in questo mondo è relativo.

Ha lasciato la Sua carriera, per dedicarsi alla fotografia… che cosa ha contribuito a questa svolta?

Nel momento in cui avevo deciso di smettere con il mio lavoro nel campo della finanza si è manifestato, all’inizio del 2011, un male molto aggressivo e ad oggi incurabile. A quel punto ho preso la decisione di lasciare Milano e un lavoro incompatibile col mio stato di salute e mi sono trasferito con mia moglie Antonella a Celerina, in Engadina. Non penso siano state due coincidenze.

Adesso che sono momentaneamente fuori pericolo, dedico gran parte del mio tempo alla fotografia, che è quel che avrei sempre voluto fare. Da un hobby, pur importante, essa ora occupa molte delle mie energie, della mia fantasia ed attenzione. Oltre al lavoro in camera oscura, al quale consacro ogni pomeriggio, c’è da curare nei minimi aspetti la creazione dei libri, l’installazione di mostre, il contatto con i galleristi, la visita degli eventi fotografici più importanti (come per esempio Paris Photo a Parigi) e l’apprendimento di nuove tecniche di stampa. Un lavoro, più intenso di quello precedente, ma molto più variegato e attagliato alla mia personalità.

Lei viaggia molto, c’è un posto, dove ritorna e si sente a casa?

Casa mia è dove vivo con mia moglie. Ora è questo magnifico borgo a 1800 metri, ma un domani chissà… potrebbe essere altrove.

Che cosa Le ha dato l’Africa e che cosa Le ha tolto?

L’Africa che io ho sinora scoperto – il Nord del Sahara e il Sud Australe – mi ha solo dato. Mi dà la gioia di vivere e mi restituisce ogni volta tutte le funzioni vitali che in Europa sono affievolite, disturbate o addirittura assenti. E’ un Continente molto concreto, direi “coi piedi per terra”. L’Asia ad esempio, è completamente diversa, molto più mistica e in un certo senso contorta. L’Africano no; è ciò che vedi, o meglio ciò che senti col cuore. E’ un luogo in cui mi sento a mio agio, dove le neomalattie dello spirito di noi Occidentali come lo stress e il burn-out non hanno ancora rovinato i sani equilibri interpersonali d’un tempo. Spesso, quando siamo in viaggio in Africa, ci domandiamo: ma come facciamo ad essere così “malati” noialtri?

Dopo la Sua prima esposizione a St. Moritz, dove Le piacerebbe esporre le Sue foto e a che tipo di pubblico vorrebbe rivolgersi[psb2] ?

Il St. Moritz Art Masters, tenutosi anche quest’anno in Agosto, è stata la mia prima mostra. Una collettiva importante, con nomi importanti che mi ha fatto conoscere un po’ nel mondo della fotografia. Come un cerchio magico, il mio libro mi ha accostato a molte persone e personaggi interessanti, ad ogni livello, dai grandissimi fotografi ai tecnici della stampa o agli allestitori di mostre, ad intellettuali.

Credo che la coscienza sull’arte della fotografia sia in generale molto bassa nel mondo d’oggi. Sembrerà paradossale quel che dico, ma il mondo digitale, pur avendo ampliato in maniera esponenziale le occasioni per fotografare, ha anche fatto perdere la cognizione di una fotografia ispirata, creativa, insomma bella. Ecco, io vorrei che il mio pubblico, soprattutto quello giovane, riconoscesse il valore che una stampa ben eseguita in bianco e nero rappresenta e mostrasse interesse per il processo analogico: dal film alla camera oscura, alla carta – in contrapposizione al “clic” veloce (e spesso superficiale) del telefonino. In fondo, non credo si possa prescindere da una buona scuola di fotografia tradizionale se si vuol essere un bravo fotografo servendosi della tecnica digitale. Nutro speranze che ciò stia avvenendo: da quanto sento, vi è un ritorno alle origini.

Quali sono i suoi prossimi progetti?

In Marzo 2014 tengo la mia prima personale con una cinquantina di opere tratte dal libro. Il luogo dell’esposizione è la Galleria d’Arte Nazionale della Namibia, nella capitale Windhoek. Ciò mi onora molto e spero così di ridare al popolo namibiano qualcosa di bello, in cambio di quanto esso ha dato a me. In Aprile parto per 5 mesi in Africa, per raccogliere materiale per il mio prossimo libro in uscita nel 2015, sullo Zambia. E quando rientro, lavorerò giorno e notte per esser pronto a consegnare al mio grafico le fotografie. In Ottobre sarò a Singapore, dove la mia galleria esporrà in seno all’evento sulla fotografia più importante nel Far East. E poi…

Lei è anche Presidente dell’ASRI come funzione l’Associazione?

L’Associazione, nata nel 1937, si prefigge di ospitare tre volte l’anno conferenzieri di lingua italiana che parlino di temi legati alla cultura, all’economia o alla politica. Le conferenze si tengono in un giorno della settimana compreso fra il lunedì e il venerdì, in un’aula dell’Università di Zurigo, alle 18.

Si può far parte dell’ASRI facendo domanda tramite il modulo che si trova nel sito, www.asri.ch.

Con quali criteri sceglie gli ospiti?

Il primo criterio riguarda il fatto che abbiano qualcosa da dire su un argomento che io reputo possa interessare il nostro pubblico. Segue quello della loro capacità espositiva, della loro oratoria. Talvolta, il conferenziere è più bravo a scrivere che a parlare e questo non va bene, la gente si stanca e comincia ad uscire dall’aula… Mi arrivano assai spesso consigli sulle persone da invitare, io li metto da parte, li vaglio e molto spesso li seguo.

Quali ospiti ci saranno nel 2014?

Il 6 Febbraio viene da noi Luca Ricolfi, noto sociologo, a parlare del perché i Paesi industrializzati non crescono più; il 25 Marzo, abbiamo l’onore di avere con noi il critico di cinema storico del Corriere della Sera, Maurizio Porro (non è mai venuto nessuno a parlare di cinema); ed infine, il 12 Novembre ospitiamo Vito Mancuso, celebrato teologo laico e scrittore.

Tra tutti quelli che ha invitato fino ad ora, c’è un ricordo particolare legato ad uno di essi?

Mi ha particolarmente colpito quest’anno l’intervento di Massimo Recalcati che ha parlato in maniera sublime dell’importanza della figura del padre nella famiglia d’oggi, un argomento che sento molto vicino.

Ritornando al Suo libro, c’è una foto verso la fine, di una mongolfiera che sembra sorvoli un paesaggio lunare…. cosa rappresenta per lei?

Il sogno di un mondo al di sopra di tutto… 

 

Foto a destra : immagini presenti in Sun Pictures, la prima in alto  copertina del libro: Himba People, Van Zyl's Pass 2010 la seconda Sossusvlei 2010

 

Info: www.solari-bozzi.com - www.asri.ch