8054883Luca Ricolfi, è dal 2011 professore ordinario di Psicometria presso la Facoltà di Psicologia dell'Università di Torino, e responsabile scientifico dell' "Osservatorio del Nord Ovest". E’ fra i fondatori della Fondazione David Hume e ha fatto parte dell’EAS (European Academy of Sociology). Dal 2005 è editorialista de La Stampa, dove con occhio attento e critico, affronta le vicende della politica italiana, dando sempre al lettore un interessante punto di osservazione.

Ospite dell’Asri, all’Università di Zurigo, terrà una conferenza dal tema:“ La fine della crescita. Perché i paesi ricchi non crescono più.” Eccovi qualche anticipazione nell’intervista che ci ha gentilmente rilasciato:

A sinistra Luca Ricolfi foto Ufficio stampa La Stampa.

 

 

 

1. I cittadini italiani, sembra non siano molto attivi e consapevoli della vita politica del paese…Lei che cosa ne pensa? 

Che è vero ed è sempre stato così. L’Italia è uno dei paesi più individualisti del mondo, e la sua opinione pubblica conosce solo due stati fondamentali: l’apatia e l’indignazione. L’indignazione, tuttavia, è uno stato d’animo raro, superficiale e a senso unico: ci si indigna per le manchevolezze degli altri (tipicamente quelle della classe politica), ma si è quasi sempre armati di benevolenza, per non dire ciechi, di fronte alle proprie.

Ci si infiamma per le denunce contro la casta (vedi il successo del libro di Stella e Rizzo), ma non si esita a ricorrere alle raccomandazioni e alle amicizie per sistemare, figli, mogli e parenti. 


2. Quale modello di governo, internazionale o europeo si potrebbe “copiare”?


Qualsiasi modello europeo è migliore del nostro, ma il problema delle istituzioni italiane non è solo il governo. Certo, il dramma dell’Italia è che ha conservato due Camere che rallentano il processo legislativo, ha regolamenti parlamentari demenziali, ha un primo ministro senza poteri, una legge elettorale pessima. Ma se anche tutto questo venisse eliminato, copiando dagli altri paesi, resterebbe in piedi il problema fondamentale: l’Italia è ingovernabile perché agli enti locali sono stati dati troppi poteri, e perché la magistratura è in grado di condizionare troppo la politica ma soprattutto l’azione amministrativa. In Italia un chirurgo che opera un paziente, un insegnante che boccia un allievo, un ente che bandisce un concorso, un ministero che decide di costruire una ferrovia, un’azienda che decide di licenziare un dipendente sono continuamente minacciati dai “ricorsi” dei cittadini e dalle iniziative dei magistrati. Nessuno può decidere nulla senza temere che qualcuno o qualcosa lo blocchi o lo costringa a tornare sui suoi passi.

 


3. Per portare del nuovo in Italia, c’è davvero bisogno di gente nuova? Di un ricambio generazionale?

Non so se c’è solo bisogno di portare del nuovo. In molti campi ci sarebbe bisogno di portare del vecchio: sul piano educativo, o su quello artistico, ad esempio, il nuovo è sistematicamente peggiore del vecchio. Sul piano politico, invece, è molto difficile fare peggio della generazione precedente, anche se non è impossibile: come diceva una fulminante vignetta di Forattini di 30 anni fa a proposito dell’allora giovanissimo Claudio Martelli, “l’importante è essere vecchi dentro”. L’attuale premier è un ottimo esempio di giovane “vecchio dentro”.

 

 

4. Che cosa ne pensa delle nuove figure politiche comparse negli ultimi tempi, Movimento Cinque Stelle, Matteo Renzi….

Che Beppe Grillo non è una novità, ma è una delle tante maschere della commedia italiana. Di Renzi penso bene, anche se la ragione mi dice che – alla fine – saremo delusi anche da lui. Ma c’è almeno una cosa di cui sono pienamente grato a Renzi: è il primo politico di sinistra che parla in linguaggio naturale, anziché in codice come tutti i suoi predecessori.

 

5. Vent’anni di Berlusconi in Italia, che cosa ha perso il Paese e che cosa ha guadagnato?

 

Il paese ha perso vent’anni, perché Berlusconi è apparso esattamente quando noi avremmo dovuto cambiare le nostre istituzioni economiche e sociali. Se abbiamo perso vent’anni, tuttavia, non è colpa solo di Berlusconi. Sono molte le cose che una sinistra moderna e coraggiosa avrebbe potuto fare, e non è stata certo la presenza di Berlusconi a impedirglielo. Semmai è vero che la sinistra ha preso Berlusconi a pretesto per non cambiare sé stessa.


6. Tra destra e sinistra c’è ancora differenza?


Sì e no. Gli ideali di destra e sinistra restano diversi. Ma le accomuna il fatto di avere entrambe tradito i propri ideali. La destra non ha mai neppure provato ad attuare la “rivoluzione liberale” che aveva promesso nel 1994. La sinistra non ha mai neppure provato a difendere i veri deboli (giovani, donne, precari, lavoratori in nero, piccoli produttori autonomi), e ha usato tutto il proprio potere per difendere i già garantiti, soprattutto impiegati pubblici e dipendenti delle grandi fabbriche.

 


7. Nel 2007 Lei ha scritto “L’arte del non governo”, non è ancora attuale?

 

Forse è ancora più attuale, perché il premier Letta esercita l’arte del non governo con più maestria di Berlusconi e Prodi, forse in questo anche aiutato dallo scudo del Presidente della Repubblica. Ai tempi di Berlusconi e Prodi era abbastanza chiaro l’effetto paralizzante delle minoranze: Fini-Casini-Follini mettevano i bastoni fra le ruote a Berlusconi, Bertinotti lo faceva con Prodi. Nel caso di Letta, invece, non c’è un premier che vorrebbe agire e qualche ministro o partito che glielo impedisce. Letta e il suo vice Alfano sono come il gatto e la volpe: il loro scopo è solo galleggiare senza toccare nessun problema difficile, e bisogna ammettere che ci riescono benissimo.

In questo senso l’arte del non governo ha raggiunto, oggi, un livello di perfezione davvero ammirevole: in confronto ai “nuovi” Letta & Alfano i “vecchi” Berlusconi & Prodi erano dei dilettanti. Non so se sia vero o solo verosimile, ma si racconta che il maestro di Enrico Letta, il compianto Beniamino Andreatta, definisse il suo pupillo come “uno che i problemi li accarezza”. 


8. La crisi economica globale ci ha resi più ricchi o più poveri?
 

Indubbiamente più poveri, se parliamo dell’Italia. 


9. In che cosa il governo dovrebbe investire al più presto e dove dovrebbe tagliare secondo Lei?

Il governo non dovrebbe investire un centesimo, finché non ha i soldi per farlo (soldi che non avrà mai, perché non ha il coraggio di tagliare alcunché, nemmeno i 10 miliardi annui di false pensioni di invalidità). Anziché investire in progetti che poi non è capace di condurre in porto, o che finiscono in mano alla criminalità organizzata (vedi l’autostrada Salerno-Reggio Calabria), il governo dovrebbe semplicemente permettere alle imprese di assumere chi vogliono senza vincoli contrattuali e con una contribuzione complessiva ridotta al minimo (15-20% della busta paga, non di più). Un esperimento così, prolungato per 4 o 5 anni, basterebbe a farci uscire dal coma farmacologico in cui i politici ci hanno gettato.

Lo slogan del governo è, invariabilmente, “trovare le risorse”. Ma andrebbe rovesciato: le risorse non vanno trovate, semmai vanno liberate. Arrivati a questo punto, l’unica azione di politica economica veramente efficace è permettere alla società civile di fare, anziché metterle continuamente i bastoni fra le ruote. Un concetto di matrice liberale, finora difeso da pochi (nel giornalismo, da Piero Ostellino), ma che ultimamente si sta lentamente facendo largo nella coscienza della gente, e persino nella sinistra-doc: giusto ieri l’ho ritrovato in un’intervista rilasciata dall’attore Neri Marcoré, secondo cui “la politica troppo spesso in Italia è una diga, piazzata di traverso tra i progetti dei cittadini e la loro realizzazione” (settimanale “Sette”, 24-1-2014). 


10. Parliamo di televisione, i talk show servono davvero come approfondimento politico? 

No, servono solo ad aumentare la disinformazione, il vittimismo e l’indignazione a senso unico dei cittadini-telespettatori. 

 

 

 

 

 

11. Quali giornali ritiene di poter consigliare a dei lettori sempre più disinformati?
Se parliamo in generale, ossia anche della stampa estera, consiglierei di leggere i principali quotidiani inglesi o americani, anche per sprovincializzare un po’ il dibattito. Se parliamo dell’Italia, il problema mi pare stia in questi termini: i giornali più seri, tipo Il Sole – 24 ore, sono noiosi e neanche poi tanto indipendenti, i giornali un po’ più leggibili raramente forniscono un’informazione di qualità, anche se – qualche volta – ci provano. Noi alla Stampa, ad esempio, da tre anni – in collaborazione con la Fondazione David Hume – abbiamo creato un ufficio studi che sforna analisi e dati non convenzionali.
 

 

12. Lei ha definito l’Italia, “un paese, dove non cambia mai nulla, un paese congelato”…la responsabilità di chi è soprattutto?

Degli italiani. Penso avesse ragione Norberto Bobbio quando sosteneva che la società civile non è migliore della società politica, e che in democrazia ogni popolo ha i governanti che si merita. Un popolo con così tanti qualunquisti e azzeccagarbugli merita Berlusconi e D’Alema. 


13. Nei Suoi scritti, la sua è una voce critica e spesso pessimistica, quale cambiamento auspica al più presto per l’Italia?
 

Che Renzi, a un certo punto, trovi il coraggio di affrontare anche i temi difficili, a partire dal mercato del lavoro.


14. Che cosa in Italia disincentiva il cambiamento?


Due cose. Primo: nonostante tutti si lamentino, la maggior parte degli italiani vive ancora piuttosto bene (anche grazie alla ricchezza accumulata con i sacrifici di un paio di generazioni). Secondo: se davvero si facessero le cose che tutti, in astratto, ritengono giuste, almeno metà degli italiani perderebbero piccoli e grandi privilegi cui non hanno diritto.

Ha idea di quanti studenti universitari non pagano le tasse in base a false autocertificazioni? Ha idea di quanti malati non pagano il ticket pur avendo redditi abbastanza alti? Quanti invalidi percepiscono una pensione senza essere invalidi? Quanti dipendenti pubblici sono andati in pensione nel fiore degli anni? Quanti lavorano in nero e contemporaneamente percepiscono un sussidio cui non avrebbero diritto? Quante famiglie vedono la tv senza pagare il canone? Quanti corsi di formazione servono esclusivamente a dare soldi ai “formatori”? Quante imprese vincono gli appalti solo perché conoscono il politico giusto? Quante famiglie occupano abusivamente la loro abitazione? Quanti cittadini affittano le loro case in nero? Quanti ragazzi mediocri rubano il posto di lavoro a coetanei migliori di loro solo perché i genitori hanno gli “agganci” giusti? Quanti docenti universitari hanno vinto un concorso senza alcun merito?

Provi a sommare tutte queste categorie, e scoprirà che l’unica schiacciante maggioranza, in Italia, è quella dei percettori di privilegi illegittimi e di vantaggi ingiustificati. Se proviamo a riflettere su questo, possiamo renderci conto di essere vissuti, finora, in una società iper-democratica, una sorta di regno della “volontà generale”, in cui i governi hanno rappresentato perfettamente la sola, vera, maggioranza possibile in questo paese, quella di coloro che vogliono conservare i propri privilegi grandi e piccoli, più spesso piccoli che grandi.


15. Veniamo al tema della conferenza che terrà per l’ASRI a Zurigo, che sarà poi un tema affrontato nel Suo prossimo libro, perché i paesi ricchi hanno smesso di crescere? E come si uscirà da questo stallo?

Il libro si chiamerà L’enigma della crescita. Alla scoperta dell’equazione che governa il nostro futuro, e fino alla conferenza preferirei non svelare l’enigma. Quel che mi piace anticipare, tuttavia, è che il mio non sarà l’ennesimo libro sul declino dell’Occidente. Certo, ci sarà una spiegazione del perché le società avanzate crescono sempre di meno, ma cercherò anche di indicare come si possa invertire la rotta. 


16. Quali saranno i Suoi prossimi impegni?
 

Mi attende un anno quasi interamente dedicato all’insegnamento e alla didattica, che però pratico sempre meno volentieri: insegnare sul serio e a tutti (non solo a un élite) è ormai diventato impossibile.

Chissà, forse potrei scrivere un pamphlet per raccontare perché, almeno in Italia, un docente universitario non è più in grado di fare il proprio lavoro.

 

 

  • Un sentito grazie della sempre pronta collaborazione va anche all’Avvocato Paolo Solari –Bozzi Presidente dell’ASRI

 

 

 

 

 

 

 

 Luca Ricolfi “ La fine della crescita. Perche’ i paesi ricchi non crescono più.”

 Giovedi 06 febbraio

 Università di Zurigo, Rämistrasse 71, Zurigo, Aula KO2-F-150

 www.asri.ch 

 

  

Pubblicazioni di Luca Ricolfi

 Lotte operaie e ambiente di lavoro. Mirafiori (1968-1974) (1976) (con Alfredo Milanaccio) Il compromesso difficile. Forme di rappresentanza e rapporto di classe dal centrosinistra al compromesso storico (1978) (con Diego Gambetta) Essere giovani a Torino (1988) (con Sergio Scamuzzi e Loredana Sciolla) Vent'anni dopo. Saggio su una generazione senza ricordi (1989) (con a Loredana Sciolla) L'ultimo Parlamento. Sulla fine della Prima Repubblica (1993) Destra e Sinistra? Studi sulla geometria dello spazio elettorale (1998) La frattura etica. Saggio sulle basi etiche dei poli elettorali (2001) La frattura etica (L’Ancora del Mediterraneo 2002) Manuale di analisi dei dati (Laterza 2002); Dossier Italia (Il Mulino 2005) Perché siamo antipatici? (Longanesi 2005) Tempo scaduto. Il “Contratto con gli italiani” alla prova dei fatti (Il Mulino 2006) Le tre società (Guerini 2007) Ostaggi dello Stato (Guerini 2008); Profondo rosso (Guerini 2008) Il sacco del Nord (Guerini 2010); Illusioni italiche (Mondadori 2010) La Repubblica delle tasse. Perché l’Italia non cresce più (Rizzoli 2011) Italia al voto. Le elezioni politiche della Repubblica (opera collettiva curata con Barbara Loera e Silvia Testa, Utet Libreria 2012) La sfida. Come destra e sinistra possono governare l’Italia (Feltrinelli 2013). L’enigma della crescita. Alla scoperta dell’equazione che governa il nostro futuro, ( Mondadori,Febbraio 2014)