C’è un buco nero al centro della Via Lattea: anche l’Italia nel team internazionale della scoperta
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- Redazione
Un team internazionale di cui fanno parte anche ricercatrici e ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, dell’Università Federico II di Napoli e dell’Università di Cagliari è riuscita ad ottenere la prima immagine del buco nerosupermassiccio al centro della nostra galassia, la Via Lattea.
L’oggetto, che si trova a circa 27 mila anni-luce dalla Terra, è chiamato Sagittarius A* (Sgr A*); non emette luce, ma il gas che brilla attorno ad esso possiede un aspetto distintivo: una regione centrale scura (chiamata “ombra” del buco nero) circondata da una struttura brillante a forma di anello.
L’attesissima immagine è stata ottenuta da una rete globale di radiotelescopi, la Collaborazione Event Horizon Telescope (EHT) che coinvolge oltre 300 ricercatori e otto osservatori radio-astronomici in tutto il mondo, come un unico telescopio virtuale dalle dimensioni del pianeta Terra.
Il nuovo risultato, che segue la scoperta del buco nero al centro della galassia lontana M87 avvenuta nel 2019, è frutto di un notevole sforzo tecnologico, poiché Sagittarius A* è molto più piccolo.
Cruciale per raggiungere questo nuovo risultato è stato il contributo di ALMA, l’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array, il più potente radiotelescopio esistente, che dal deserto di Atacama, in Cile, scruta il cosmo in banda radio a lunghezze d’onda millimetriche e submillimetriche. L’Italia partecipa ad ALMA attraverso l’ESO, lo European Southern Observatory, e ospita il nodo italiano del Centro regionale europeo ALMA presso la sede dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) di Bologna.
“È uno straordinario risultato della cui portata riusciremo a renderci conto davvero solo con il tempo”, ha commentato il ministro dell’Università e della Ricerca Maria Cristina Messa. “Complimenti al grande e globale gruppo di lavoro che ha consentito di raggiungerlo e, all’interno di questo, alle scienziate e agli scienziati italiani. Questa scoperta dimostra come le reti collaborative di ricerca internazionale siano fondamentali per il progresso di tutti, di come sia importante per l’Italia farne parte investendo, in modo continuo e stabile negli anni, in grandi infrastrutture di ricerca e di dati, per rafforzarle e implementarle sempre di più, e di come si debba fare uno sforzo per preservare queste reti anche in momenti di crisi”.
La nuova scoperta è descritta in una serie di articoli pubblicati oggi, 12 maggio, su un numero speciale della rivista The Astrophysical Journal Letters.