Troppo frettolosamente noi italiani abbiamo archiviato il lungo periodo in cui erano i nostri nonni e i nostri bisnonni ad essere costretti a lasciare le loro case per cercare lavoro altrove e per essere sfruttati, umiliati ed emarginati. E quindi, al di là dei tanti pregi artistici, l'importanza dell’allestimento di Scalo marittimo di Raffaele Viviani è innanzitutto nel coraggio di voler riaprire quella pagina dolorosa, facendola immediatamente risuonare nel nostro tempo.

La vicenda - scrive Il Sole 24 Ore nell’edizione del weekend - avviene nel porto di Napoli nel 1918, il piroscafo Washington sta per salpare alla volta dell'America, mentre sul molo si affollano i vari personaggi pronti a partire e i tanti che restano. Così il grande drammaturgo partenopeo ritrae diverse tipologie umane, dalla ricca signora di ritorno a casa, al turista borghese, ma in primo piano c'è la piccola folla di chi si imbarca per cercare fortuna, a specchio con la povertà di un popolo abituato a vivere di espedienti e piccole truffe, e col profilo inquietante di un cinico approfittatore che svolge, a caro prezzo, le pratiche burocratiche per lo sventurato drappello intenzionato a espatriare. Non è un caso che lo spettacolo, prodotto dal Teatro Nazionale di Napoli, sia nato al Nest, lo spazio teatrale sorto, per la tenace volontà di molti dei componenti della compagnia, in una delle zone più degradate dell'hinterland della città, San Giovanni a Teduccio, subito divenuto un vivace punto di riferimento per tutto il quartiere.