Si chiama “Le mura di Bergamo”, è il nuovo docufilm di Stefano Savona e sarà l’opera che rappresenterà l’Italia nella sezione “Encounter” del 73esimo Festival Internazionale del Cinema di Berlino. Realizzato con il supporto di Danny Biancardi, Sebastiano Caceffo, Alessandro Drudi, Silvia Miola, Virginia Nardelli, Benedetta Valabrega e Marta Violante, “Le mura di Bergamo”, è anche stato selezionato nella griglia dei papabili per la vittoria del prestigioso “Berlinale Documentary Award”.

Il docufilm è uno sguardo toccante e sincero sualla città di Bergamo durante i giorni più dolorosi della sua storia recente, quelli del Covid, con il virus che pretese un desolante tributo di vite umane dalla città e dal territorio bergamasco. Sono ancora sotto gli occhi di tutti, infatti, le immagini dei camion dell’esercito che trasportavano le bare dei deceduti da Covid. L’opera di Savona racconta quindi la città come un organismo devastato che prova a reagire. Medici, infermieri, pazienti, volontari, e anche chi non ha vissuto direttamente il dolore della malattia cerca un proprio ruolo nel processo di guarigione collettiva. Ed è proprio Bergamo la protagonista assoluta di questo racconto per immagini, un corpo sociale che, come ogni organismo vivente, è costituito innanzitutto dalle infinite connessioni tra le sue parti. Un’opera che il regista descrive così: “Tre anni fa con un gruppo di giovani registi che erano stati miei studenti alla scuola di documentario del CSC Palermo abbiamo attraversato un’Italia deserta per arrivare a Bergamo nel mezzo di una crisi mai vista. In punta di piedi abbiamo iniziato a filmare le vite di chi, rischiando in prima persona, cercava di affrontare la catastrofe che ci stava investendo tutti. La nostra scommessa è stata quella di restituire i movimenti di una comunità in resistenza. Ogni sera ci riunivamo a riguardare le immagini raccolte, cercando di ritrovare i raccordi invisibili che le univano, di cominciare a riannodare i fili delle storie che la pandemia aveva provato a cancellare. Per altri due anni siamo tornati a Bergamo per raccontare il rituale collettivo di elaborazione del lutto e di costruzione della memoria che avevamo visto nascere e di cui questo film-memoriale si vuole fare portatore”.