Il microbiota intestinale è l’insieme dei microrganismi (batteri, ma anche virus, funghi e protozoi) ospitati da ciascun essere umano o animale sin dalla nascita e per tutta la sua vita. È una popolazione composta da centinaia di specie diverse formate da cellule e geni. Queste “comunità”, come è noto da tempo, esercitano un effetto benefico sulla nostra salute: temprano il sistema immunitario, proteggono dalle infezioni di agenti patogeni, favoriscono la digestione e prevengono malattie cardiovascolari. Negli ultimi anni è stato scoperto che specifici batteri intestinali favoriscono anche la nostra crescita in condizioni di denutrizione. Semplificando, se una dieta è povera in nutrienti come, ad esempio, le proteine e se sono presenti batteri intestinali benefici, questi ultimi favoriscono comunque la crescita compensando la mancanza, come si avesse una dieta standard.

È stato anche dimostrato che ceppi di batteri appartenenti alla specie Lactiplantibacillus plantarum, comunemente isolati da diverse piante e presenti nel microbiota intestinale di molti animali, sono in grado di migliorare la crescita sia di insetti che di mammiferi (ad esempio i topi) se gli animali hanno un deficit nutrizionale. Rimane da capire, però, il perché alcuni batteri intestinali – tra cui appunto il Lactiplantibacillus plantarum – migliorino la crescita di un animale. Sono batteri simbionti, cioè colonizzano l’intestino, ma al contempo apportano un vantaggio per l’organismo? Oppure sono semplicemente una fonte nutritiva? Su questo argomento la comunità scientifica si è sempre divisa. Lo studio dal titolo "Gut microbes predominantly act as living beneficial partners rather than raw nutrients" pubblicato su «Scientific Reports» e guidato dalla professoressa Maria Elena Martino del Dipartimento di Biomedicina Comparata e Alimentazione dell’Università di Padova ha dimostrato, per la prima volta, che i batteri intestinali esplicano la loro azione benefica migliorando la crescita animale principalmente in quanto partner attivi (simbionti) e, solo secondariamente, perché costituiscono anche una riserva energetica. La ricerca è stata condotta sull’attività batterica intestinale nel moscerino della frutta, la Drosophila melanogaster, attraverso l’uso di batteriostatici, cioè agenti in grado di inibire o limitare la replicazione batterica senza però uccidere il microorganismo. Questa metodologia ha permesso di analizzare tre condizioni fisiologiche nei batteri per vedere e quantificare gli effetti sull’animale: la condizione naturale, cioè l’attività di batteri vivi e attivi accoppiata alla crescita; l’attività di batteri vivi, ma che non si replicano; infine l’attività di batteri morti, cioè utilizzati come sola fonte nutritiva dall’animale.